"QUANDO I MIGRANTI ERAVAMO NOI" di Enrico Montermini.
Di tanto in tanto qualcuno mi sbatte in faccia questa verità che noi razzisti non vogliamo sentire, perchè siamo in malafede, o non conosciamo, perchè siamo ignoranti. Purtroppo conosco bene la storia di "quando siamo scappati noi dalla miseria"! Tra quelli che scappavano c'era mio nonno Emilio, che emigrò in Belgio con mia nonna e mia madre ancora bambina.
Partirono tutti e tre da Milano su un treno fatiscente con le famose valigie di cartone in mano assieme a migliaia di connazionali. Prima di partire avevano sostenuto le visite mediche obbligatorie, perchè le autorità belghe non volevano epidemie. La sanità ha un costo per la collettività: chi non contribuisce, perché abita all'estero, non ha diritto a usufruirne; se però uno lavora, paga le tasse e si ammala nel Paese in cui vive, ha diritto all'assistenza sanitaria come tutti gli altri. Questo era il principio osservato in Belgio, perciò dall'Italia partiva solo la gente in salute.
Le procedure burocratiche erano tante e tutte rigorose. Si controllavano le generalità, la fedina penale, si verificava quale fosse il lavoro e il domicilio del migrante: non si partiva in cerca di fortuna.
Perchè tutte queste noie? Perchè c'erano già abbastanza ladri, mendicanti e assassini in Belgio senza bisogno di importarne altri dall'estero. Un italiano senza lavoro, pur senza aver commesso reati, veniva immediatamente rimpatriato. A nessuno mai venne in mente l'idea di creare dei centri d'accoglienza per far fare agli immigrati la vita dei turisti in Belgio. A nessun italiano venne in mente di scendere in strada e gridare: "We are human being! We have rights!"
Era razzismo quello delle autorità belghe? No, era sano buon senso: quello che i nostri politici non hanno.
Torniamo a mio nonno. Emilio faceva il minatore in una miniera di carbone: niente pocket money, niente cellulare, niente wi-fi! Lui non parlava di razzismo e di diritti umani: lavorava come un negro - lui, sì, aveva il diritto di dirlo! Per un puro caso non era a Marcinelle quando la miniera è crollata: c'erano i suoi amici morti sotto le macerie. Tutti loro facevano i lavori che i belgi non volevano più fare: non stavano in pensione a lamentarsi che il cibo fa schifo e il wi-fi non funziona bene!
In Belgio non si faceva poltica: si lavorava sodo e si teneva la testa bassa. C'erano bar, ristoranti e negozi in cui era vietato l'ingresso agli italiani. Erano atti crudeli, ma nessuno se ne lamentava: chi è ospite in casa degli altri non può pretendere di cambiare le abitudini del padrone di casa; però può uscire dalla porta con dignità se vuole - e questo vale soprattutto per l'ospite che non è stato invitato!
Chi faceva caciara dopo aver alzato un po' il gomito e chi rubacchiava lo si rispediva in Italia entro 24 ore e in Belgio non rimetteva più piede: giusto così, altro che fogli di via e procedimenti giudiziari infiniti con avvocati d'ufficio e giudici filantropi!
Cacciati via i farabutti, quelli che rimasero si guadagnarono il rispetto dei Belgi col duro lavoro. E' così che si fa!
Mio nonno è morto a 40 anni per una forma fulminante di tumore ai polmoni. Si era ammalato respirando il grisù, il micidiale gas che uccideva i minatori. E' morto lasciando una giovane vedova, due bambini piccoli (nel frattempo era nato anche mio zio) e una montagna di debiti!
Quando vedo ragazzoni neri di vent'anni girare col cappellino della Nike e il cellulare di ultimo modello infischiandosene delle leggi di questo Paese e gridando "stronzi razzisti" a noi italiani che li manteniamo in albergo ripenso a mio nonno. Mi domando per chi ha fatti tanti sacrifici. Questo splendido Paese in cui viviamo l'hanno costruito generazioni di eroi come mio nonno Emilio: gente che per tutta la vita non ha fatto altro che lavorare e soffrire. L'esatto contrario di quelli come Laura Boldrini, che sono il cancro della nostra società.
Enrico Montermini , 22/06/2017

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