ALCUNE SCOMODE VERITA' SULLA 2 GUERRA MONDIALE di Enrico Montermini.
Badoglio, l'uomo chiave.
Il maresciallo Pietro Badoglio, capo di Stato Maggiore Generale, era il massimo esponente della massoneria castrense e l’uomo di fiducia su cui puntava re Vittorio Emanuele III per mantenere il controllo delle Forze Armate Regie. Si dice che già all’indomani della marcia su Roma il sovrano si rivolse al Duce in questi termini: “per carità, non mi tocchi Badoglio!”. Come scrisse la penna ispirata di Indro Montanelli, "Badoglio non era né fascista né antifascista: era semplicemente... badogliano!" Solange Manfredi ha messo in rilievo il fatto che fin dall’epoca della crisi abissina i servizi segreti alleati individuarono in lui l’uomo chiave per distruggere dall’interno il Regime fascista (S. Manfredi, “Psyops”).
Per agganciare l’anziano maresciallo, che non sembrava mai sazio di onori denaro e potere, l’ Intelligent Service britannico adoperò Giuseppe Cagliostro Cambareri: massone, teosofo e sedicente mago. Le informazioni sul suo conto le prendo dalla bella biografia scritta da Silverio Corvisieri, al quale attinge ampiamente anche la Manfredi (Cfr. S. Corvisieri, “Il mago dei generali”, Odradek). L’avventura spionistica del Cambareri inizia nel 1934 sotto la protezione di altolocati uomini politici. Già all’epoca della guerra civile spagnola la spia aveva sistematicamente corrotto alti ufficiali dell’esercito e del Servizio Informazioni Militare. Per far girare le mazzette aveva fondato la T.I.E.S.A. , una fantomatica società di importazione di caffè dal Brasile che fungeva in realtà da copertura per i servizi britannici. Cosa c’entrasse il caffè con le forniture dell’esercito non era chiaro, ma nessuno osò chiedere spiegazioni perché il presidente della società del Cambareri era Mario Badoglio, che era figlio dell’anziano maresciallo e alto dignitario massonico. La spia si serviva di lui come tramite per conferire col padre, mentre gli uffici erano regolarmente frequentati da generali e colonnelli. Tra questi ricordiamo: il generale Quintino Armellini, consigliere militare del re e già braccio destro del maresciallo Badoglio all’epoca della guerra d’Etiopia; il generale Giacomo Carboni, che dal 1939 al 1940 fu a capo del Servizio Informazioni Militare; il colonnello Prefetti, anch’egli in servizio al SIM. L’elenco però è molto più lungo e rimando, di nuovo, al lavoro di Corvisieri per maggiori informazioni.
Il 1 settembre 1939 scoppiava la Seconda guerra mondiale: quello stesso giorno Pietro Badoglio prendeva contatto col presidente americano Roosevelt per mezzo del console brasiliano Vinicius Da Veiga. A fare le presentazioni era stato il solito Cambareri. Attraverso uno scambio segreto di messaggi cifrati trasmessi per via diplomatica Badoglio (nome in codice: "Immigrant") comunicò a Roosevelt (nome in codice: "Manager") che in Italia c’era un gruppo di alti ufficiali che si opponevano al fascismo e che erano pronti a rovesciare Mussolini se avesse spinto il Paese in guerra. “Manager” e “Immigrant” concordarono che quest’ultimo avrebbe garantito la neutralità dell'Italia; e se ciò non fosse stato possibile avrebbe almeno differito il più possibile la nostra entrata in guerra. Queste scioccanti rivelazioni si trovano nell'autobiografia di Da Veiga citata da Corvisieri.
Alla luce di quanto detto non stupisce che l'anziano maresciallo si fosse impuntato affinché le forze meccanizzate del Regio Esercito fossero dislocate nella Pianura padana e in Albania. Le sole voci di critica a tale decisione le pronunciarono il Viceré della Libia, Italo Balbo, e il generale Baistrocchi, che avevano garantito a Mussolini che si poteva raggiungere facilmente l'Egitto con un raid dalla Libia. Infatti nel settembre 1939 la brigata di riservisti inglesi che difendeva il canale di Suez poteva essere facilmente sopraffatta dai nostri parà se solo avessero ricevuto immediati rinforzi da terra e dall'aria. L’operazione era fattibile e per dimostrarlo allo stato maggiore Balbo aveva appositamente organizzato le grandi manovre in Libia nell’estate del ’38 (cfr. F. Castellano, P. Formiconi, “Italo Balbo e le grandi manovre in Libia del 1938”, Storia Militare). Perciò Balbo preparava tabelle di marcia di reparti che esistevano solo sulla carta, ma al tempo stesso sollecitava concretamente l’invio di uomini e mezzi: soprattutto autoblinde, carri armati e autocarri. Badoglio troncò questi preparativi avvisando Balbo che era "esercizio futile e ozioso" fare piani che non si potevano realizzare. Irrealizzabili questi piani lo divennero solo nell’estate del ’39, allorché il capo di stato maggiore generale sottrasse tutti gli autocarri e i quadrupedi assegnati alle truppe metropolitane in Libia. Poiché un esercito appiedato non può muoversi nel deserto, vi era la certezza che il canale di Suez, così vitale per la strategia navale britannica, non sarebbe stato minacciato. Badoglio si confermava dunque l'uomo chiave per compromettere tutti i piani di guerra dell'Italia fascista, che senza la sua autorizzazione non potevano essere nemmeno predisposti.
2. Una guerra preventiva?
La neutralità italiana promessa da Badoglio a Roosevelt rientrava nei desideri di Londra e di Parigi in quel periodo passato alla storia come la "strana guerra". Tuttavia tra febbraio e marzo del 1940 gli orientamenti di Londra cambiarono. Dobbiamo al giornalista Franco Bandini l'intuizione che l'entrata in guerra dell'Italia fu una fredda decisione presa dal governo inglese per impedire che il completamento dei programmi di riarmo navale predisposti fin dal 1934 trasformassero l'Italia nella maggior potenza militare del Mediterraneo. Ciò sarebbe avvenuto a cavallo tra il 1941 e il 1942, quando sarebbero entrate in servizio le moderne corazzate Littorio, Vittorio Veneto, Roma e Impero. Per l’Ammiragliato inglese non c’era più tempo da perdere: bisognava colpire subito per eliminare la minaccia prima che si concretizzasse. Era necessaria una guerra preventiva e per provocarla il Foregn Office alla fine di febbraio del 1940 decretò l’embargo del carbone contro l’Italia, violando impunemente il diritto internazionale. Questa misura punitiva, che entro pochi mesi avrebbe paralizzato l'industria bellica e forse tutta l’economia, avrebbe costretto l’Italia a scendere immediatamente in guerra: o al fianco dell’Inghilterra, per ricevere il carbone inglese via mare; o contro di essa, per ricevere il carbone tedesco via terra (Cfr. F. Bandini, "Tecnica della sconfitta", I libri di IF).
In entrambi i casi la Wermacht sarebbe stata obbligata a distogliere verso Sud quelle forze che invece si stavano preparando per l'imminente offensiva sul Fronte occidentale sia che si trattasse di sostenere militarmente un’Italia alleata in difficoltà sia che si trattasse di combatterla come nemica. Se tutto fosse andato secondo i piani la Francia forse sarebbe stata risparmiata dalla blitzkrieg nel corso del 1940, mentre già a partire dall’anno seguente l’equipaggiamento degli alleati sul fronte occidentale sarebbe stato nettamente migliore. (Cfr. F. Bandini, op. cit). Questo tipo di operazione che fu studiata a Londra nel gergo militare viene chiamata “diversione strategica”.
Secondo Corvisieri nei primi mesi del 1940 i rapporti tenuti da Da Veiga tra Badoglio e Roosevelt si interruppero per riprendere solo in aprile. L’autore non fornisce una spiegazione esauriente della faccenda, ma io credo che ciò si possa agevolmente spiegare con la visita a Roma dell'incaricato personale del presidente americano, Wells, che fu ricevuto da Pio XII e da Mussolini. E’ più che credibile che Roosevelt non volesse turbare i rapporti con il dittatore proprio mentre il suo incaricato perorava la causa della pace di fronte a lui. Per suo tramite il presidente americano promise al Duce una conferenza da tenersi alle Isole Azzorre dove l’Italia avrebbe ottenuto non ben precisati compensi coloniali. Poiché tali compensi da vent’anni venivano rifiutati in modo sdegnato dai governi di Inghilterra e Francia, Mussolini arguì che quelle fossero offerte truffaldine che miravano a dilatare l’ingresso in guerra dell’Italia mentre, in un futuro non troppo lontano, già si intravvedeva il blocco dell’intera industria pesante.
Per tali ragioni, suppongo, il dittatore rifiutò le proposte americane e annunciò ai capi militari che l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco della Germania appena possibile. Comunicò poi la sua decisione a Hitler durante l’incontro del Brennero (marzo 1940).
3. L'asso nella manica.
In primavera, secondo ricostruzione di Corvisieri, il console Da Veiga riallacciò i contatti tra Badoglio e Roosevelt. Grazie a “Immigrant” gli Alleati sapevano che l’Italia era definitivamente passata nel campo tedesco e che in qualsiasi momento si poteva attendere la sua discesa in campo. Alla luce di ciò è curioso il fatto che il dispositivo militare anglo-francese contro l'Italia non fu affatto rafforzato. Tanto più che la decisione di Mussolini andava incontro ai desideri inglesi. Contrariamente alle previsioni nei mesi di marzo, aprile e maggio intere divisioni dell’Armée furono trasferite dal confine alpino e dalla Tunisia al Fronte occidentale per opporsi alla Wermacht. Addirittura in aprile gli inglesi sciolsero temporaneamente la Mediterranean Fleet e trasferirono l’intera squadra da battaglia da Alessandria d’Egitto al Mare del Nord per partecipare alla campagna di Norvegia. Per alcune settimane Malta e il canale di Suez restarono indifesi da un’offesa proveniente dal mare, ma nessuno a Roma pensò di approfittarne. Perché? Si tratta solo della miopia dei nostri vertici militari e politici, come sostiene Franco Bandini? Ciò potrebbe spiegare l’inazione italiana, ma non giustifica l’assoluta tranquillità di un nemico che, a dispetto delle informazioni in suo possesso, sembra non nutrire alcun timore. Pare quasi che gli Alleati abbiano più informazioni sulle intenzioni italiane di quante ne abbia lo stesso Mussolini. Infatti nessuna azione, nessun preparativo, nessun piano viene predisposto dallo Stato Maggiore Generale che – incredibile, ma vero! – si fa cogliere completamente impreparato dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. Eppure Mussolini aveva messo a conoscenza Badoglio delle sue decisioni fin da marzo: cosa fece dunque quest’ultimo in tutto questo tempo? La risposta, inquietante, è la seguente: Badoglio pianificava un colpo di stato militare contro il Governo d’intesa con il nemico.
Secondo Domizia Carafoli proprio nella primavera del 1940 Badoglio iniziò i preparativi golpisti (Cfr "Il Viceduce", Mursia). Nel mirino non c’era solo Mussolini, ma anche re Vittorio Emanuele III. L’azione, più che in campo tecnico-militare, si svolge sul piano politico ed è estremamente circospetta. Badoglio tesseva nell'ombra intese e alleanze. Una sua sostenitrice era la principessa Maria Josuè, moglie del principe ereditario, che capeggiava la fronda a corte e si teneva segretamente in contatto con alcune personalità antifasciste. Favorevoli alla destituzione di Mussolini erano anche potenti gerarchi notoriamente filo-inglesi come Ciano e Grandi. Nell’ombra agivano anche gli intermediari di alcuni grandi gruppi industriali, come Fiat e Pirelli, che in quel momento facevano lucrosi affari con l'Inghilterra e la Francia. Sì, proprio così: l’industria bellica italiana in quel momento era più impegnata a riarmare i Paesi contro i quali si stava per combattere che le nostre Forze Armate! Il giornalista Piero Baroni ha dedicato diversi libri a questo tema con ampia base documentale (cfr. ad esempio “La fabbrica della sconfitta”, Settimo Sigillo).
Secondo la Carafoli se il piano golpista fosse andato a termine, sarebbero stati detronizzati sia re Vittorio Emanuele III sia il principe ereditario Umberto. Sul trono sabaudo si sarebbe seduto il figlio, ancora bambino, di quest’ultimo: in suo nome la principessa belga Maria Josué avrebbe regnato e il maresciallo Badoglio avrebbe governato. L’operazione fallì però perché all’ultimo minuto il capo della Polizia, che all'epoca era Arturo Bocchini, ritirò la propria adesione all’iniziativa. La Carafoli ha raccolto numerose testimonianze degli sfoghi di Bocchini con i suoi collaboratori contro gli intrighi nei quali Badoglio e altri lo avrebbero messo in mezzo quando lui, invece, avrebbe voluto rimanerne fuori.
A mio avviso l’indizio più significativo dell’intenzione di Badoglio di rovesciare Mussolini consiste nel fatto che da marzo a giugno egli non prepara nessun piano. Evidentemente egli dava per certo che l’Italia sarebbe rimasta neutrale, malgrado il Duce gli avesse detto l’esatto contrario. Inoltre egli sembra altrettanto certo che non sarebbe stato chiamato a render conto al capo del Governo di questa negligenza.
Resta da chiedersi perché, a quel punto, Mussolini non morda il freno. Perché il Duce non preme per visionare i piani, non chiede conto dei preparativi, non emana direttive? Anche la sua cautela è sospetta, talmente sospetta che egli arriva a confessare a Hitler che l’Italia non si sarebbe mossa prima di considerevoli successi inziali tedeschi.
Forse Mussolini aveva avuto sentore che qualcosa a Roma bolliva in pentola. Sapeva che Vittorio Emanuele III era contrario alla guerra e sapeva anche che più di uno tra i suoi collaboratori era pronto a fargli le scarpe: da ciò si può dedurre il fondato timore che una mossa in politica estera non concordata con la Corona avrebbe provocato la sua destituzione. Ciò avrebbe facilitato i piani di Badoglio, naturalmente.
Eppure il tempo lavorava contro il Duce e contro il fascismo: alla fine di maggio la maggiore tra le industrie belliche, l'Ansaldo, comunicava alle autorità preposte di possedere scorte di carbone sufficienti per soli 15 giorni, dopo di che avrebbe dovuto sospendere la produzione. Immaginiamo allora uno scenario nel quale le industrie chiudono, gli operai scioperano, le diplomazie di Londra e Parigi lanciano avvertimenti minacciosi mentre le loro navi da guerra battono bandiera di fronte ai nostri porti: messo davanti a una situazione senza via d’uscita, re Vittorio Emanuele III non avrebbe avuto altra scelta che destituire Mussolini. A quel punto chi avrebbe difeso la Corona dalla collera degli squadristi? Come un ragno al centro della tela che attende la sua preda, Badoglio aspettava pazientemente che il potere gli cadesse tra le mani. Uno scenario che anticipa di molti anni il colpo di stato del 25 luglio 1943.
4. La mano dei francesi.
In mezzo a queste trame golpiste merita un cenno Movimento Unitario di Rinnovamento Italiano, che tra maggio e giugno del 1940 fu smantellato dalla Polizia Politica grazie alla preziosa azione di intelligence svolta dall’OVRA.
Si trattava di un’organizzazione segreta con una complessa organizzazione a catena per mezzo della quale cui ogni elemento conosceva solo due persone associate con le quali poteva comunicare tramite parole-chiave tenute segrete: in pratica lo stesso schema organizzativo adottato in seguito dal Fronte di Liberazione Algerino, che viene descritto da Gillo Pontecorvo nel film “La battaglia di Algeri”. Un lavoro da professionisti, insomma, dietro il quale si nascondeva forse la mano dei servizi francesi.
Il M.U.R.I. aveva esteso i suoi tentacoli nel triangolo industriale di Torino, Milano e Genova dove si proponeva di organizzare azioni di sabotaggio e di fare propaganda sulla popolazione contro il fascismo e contro il re Vittorio Emanuele III. L’organizzazione aveva i suoi quadri dirigenti in Francia e i suoi capi, Giacosa e Valabrega, facevano avanti e indietro dal confine portando ordini ai “capi-catena”. Evidentemente gli ambienti di potere francesi stavano cedendo alle pressioni di quei circoli che, ispirati dall’esule Carlo Sforza, già dal settembre precedente insistevano per creare un governo fascista in esilio pronto a subentrare a quello fascista al momento opportuno.
Col senno di poi è facile osservare che se l’embargo del carbone avesse fatto il suo corso, già nel mese di giugno le tensioni sociali scaturite dalla chiusura degli stabilimenti produttivi avrebbero dato l’occasione al M.U.R.I. di guidare manifestazioni di aperta opposizione al fascismo, come quelle che Badoglio avrebbe represso nel sangue nell’estate del ’43.
A me pare del tutto evidente che intorno alla strategia dell’embargo del carbone decisa dagli Alleati ruotavano diverse strade che conducevano tutte verso lo stesso obiettivo: provocare l’implosione del regime fascista. Caduto il fascismo, l'Italia si sarebbe rischierata al fianco degli Alleati con tutto il suo potenziale navale: un leit-motive già visto ai tempi della Prima guerra mondiale e che si ripeterà di nuovo l'8 settembre 1943.
In ogni caso i propositi degli Alleati non concretizzarono immediatamente sia perché la vittoria tedesca sul fronte occidentale provocò un drastico mutamento della situazione, sia perché la Polizia Politica smantellò l’organizzazione segreta antifascista a cavallo tra maggio e giugno del 1940 che, come abbiamo visto, segna una data limite. Questa retata fu forse il mezzo usato da Bocchini per ammonire Badoglio a sospendere i piani golpisti? Chissà...
5. L'Italia scende in guerra.
L'emozione provocata dall'inatteso crollo della Francia generò in tutto il Paese, compresa la Corona, un subitaneo mutamento di atteggiamenti nei confronti della neutralità. Così il 10 giugno l’Italia entrò in guerra per volontà concorde del re, del Duce e dei suoi gerarchi.
I piani golpisti di Badoglio andavano miseramente in frantumi ed era lecito attendersi il redde rationem tra Mussolini e il generale traditore. Pur avendo avuto tre mesi di tempo, si è detto, Badoglio non aveva fatto alcun preparativo: in qualsiasi Paese del mondo un fatto del genere sarebbe stato discusso di fronte a una corte marziale. In Italia, invece, non successe nulla. Badoglio non solo restò al suo posto ma, curiosamente, fu autorizzato da Mussolini a emanare a suo nome una direttiva strategica che prevedeva una rigida difensiva su tutti i fronti. Tale direttiva si può leggere integralmente in un’opera dello storico navale G. Giorgerini ("La guerra italiana sul mare", Mondadori).
Perché dunque dichiarare guerra se non si intende combattere? È un punto sul quale storici, giornalisti e politici si sono sbizzarriti da oltre settant’anni. Si dice che in quel momento le Forze Armate non erano in grado di combattere a causa delle perdite di materiali subite nella guerra d’Etiopia e nella guerra civile spagnola, ma che Mussolini desiderasse solo qualche migliaio di morti per potersi sedere al tavolo della pace. Tutto ciò mi sembra una mistificazione storica che intende nascondere una verità molto più inquietante.
Andiamo per ordine e cominciamo col dire che l'efficienza di un esercito non è un concetto assoluto, ma un dato empirico che emerge dal confronto con gli eserciti dei Paesi ritenuti ostili. Premesso ciò, in che condizioni si trovava l'esercito inglese nell'estate del 1940?
Come spiegano Franco Bandini e Carlo De Risio (“Generali servizi segreti e fascismo”, Mondadori), in quel momento, a un esercito italiano numeroso ma male armato e addestrato, gli inglesi potevano contrapporre... il nulla o quasi! Infatti le truppe della Royal Army si erano ritirate da Dunquerk praticamente disarmate. In Francia era stata abbandonata la quasi totalità dei carri armati, delle autoblinde, dei cannoni, degli autocarri, delle munizioni, delle granate, dei pezzi di ricambio. Per tale ragione in quel momento c'erano solo due divisioni efficienti per difendere le isole inglesi dalla temuta invasione tedesca. In quello stesso periodo la Royal Air Force era impegnata quasi al completo nella battaglia d'Inghilterra. Tali valutazioni trovano riscontro anche nella testimonianza del critico militare inglese Basill Liddell Hart ("Storia di una sconfitta", Bur). Giorgerini afferma che persino la Mediterranean fleet in quel momento era inferiore alla Regia Marina con 3 vecchie corazzate operative contro le 6 italiane (di cui 2 nuove e con caratteristiche che non avevano eguali nella flotta inglese). Dopo queste precisazioni gli ordini emanati da Badoglio a nome di Mussolini appaiono ancora più incomprensibili. Eppure una spiegazione può e deve essere trovata.
Secondo lo studioso dei servizi segreti Carlo De Risio, il generale Carboni fin da settembre 1939 aveva dato il via, di sua iniziativa, a un gioco molto pericoloso che mirava a mantenere l’Italia neutrale. Nella sua posizione di direttore del SIM, Carboni iniziò a tempestare il capo del Governo con informative che accreditavano gli Alleati di forze soverchianti in tutto il bacino del Mediterraneo. Quando l’Italia entrò in guerra quelle valutazioni non furono riviste e continuarono a ispirare gli ordini di somma cautela emanati da Badoglio a nome del Duce. Ecco spiegato il mistero di quelle direttive, che non provavano affatti - come sostengono gli storici - l'impreparazione del nostro esercito, ma mascheravano invece il bluff degli inglesi. E il tradimento.
Perché il generale Carboni continuò questo gioco quando ormai, nell'estate del '40, i suoi propositi erano impossibili da raggiungere? Quello che De Risio non dice, ma che apprendiamo da Corvisieri, è che Giacomo Carboni era un protetto del maresciallo Badoglio ed era un frequentatore abituale di casa Cambareri, che in quel momento era già stata identificata dall'OVRA come un covo di spie - "a meno che non si tratti di un qualche centro informativo" dei nostri Servizi, aggiungeva prudentemente il documento.
Col senno di poi dobbiamo ammettere che la scelta di Mussolini di entrare in guerra nel giugno del 1940, con la Francia sul punto di arrendersi e l'Inghilterra che vacillava, fu di un tempismo eccezionale. Tra giugno e ottobre ci furono quattro mesi di tempo per marciare indisturbati fino al canale di Suez e ai pozzi di petrolio del Golfo Persico. Infatti il primo convoglio di carri armati, blindati e aerei per la 8° Armata inglese giunse ad Alessandria d’Egitto solo il 18 ottobre. Secondo Bandini quella fu l'unica occasione che abbiamo mai avuto di sferrare un colpo mortale all'Inghilterra prima dell'intervento americano e russo.
Ciò non accadde perché il depistaggio del SIM proseguì indisturbato: secondo De Risio il generale Carboni continuò ad accreditare gli inglesi di forze soverchianti che in realtà non esistevano. Chi aveva intuito il bluff inglese fu probabilmente Hitler, secondo il quale una divisione panzer e una divisione meccanizzata leggera sarebbero bastati per far sloggiare gli inglesi dall'Egitto nell'estate del 1940. Il generale Von Thoma riferì a Liddel Hart che un’offerta in questo senso fu ufficialmente presentata dall’ambasciatore tedesco a Roma. Mentre Badoglio era nettamente contrario, Mussolini era sul punto di accettare a patto che non vi fosse una netta preponderanza di forze tedesche in Nord Africa. A questo punto il critico militare inglese si lascia scappare un criptico apprezzamento: Hitler temeva che se non lo avesse aiutato a “irrigidire” la linea, Mussolini era pronto a condurre un “giro di walzer” che lo avrebbe infine condotto tra le braccia degli inglesi. Ma a chi si riferisce Liddell Hart: a Mussolini o piuttosto a Badoglio? Egli scrive in ogni caso che la decisione fatale di rifiutare l’aiuto tedesco fu influenzata dalla ferma opposizione di Badoglio, che allarmò Mussolini sulle conseguenze politiche di "un aiuto che poi si sarebbe dovuto pagare a ben caro prezzo”.
6. Una tragedia greca.
Per superare la crisi dell'estate del '40, l’Impero britannico doveva costringere l'Italia ad aprire un nuovo fronte che avrebbe fagocitato gli uomini e i mezzi che, altrimenti, sarebbero gravitati intorno a Malta, a Suez e alla valle del Nilo. Secondo un pensiero strategico maturato già nella primavera del 1939, quel nuovo fronte doveva essere ricercato nell’Europa sudorientale. Qui la diplomazia inglese poteva ricercare alleati che combattessero per lei, come nota acutamente Franco Bandini. Una guerra per procura e una diversione strategica erano ciò che alla perfida Albione serviva per riprendere fiato. La nuova situazione venutasi a creare avrebbe inoltre influenzato l'atteggiamento dell'Unione Sovietica, che all’epoca era filo-tedesca.
Per riuscire nei loro intenti gli Alleati giocarono ancora una volta la carta-Badoglio. Infatti, mentre il maresciallo Graziani, successore di Balbo, dalla lontana Tripoli continuava a invocare disperatamente carri armati e autocarri per avanzare in Egitto, il capo di stato maggiore generale presentò a Mussolini prima un piano di guerra contro la Jugoslavia (nome in codice: "esigenza E"), poi un altro contro la Grecia ("esigenza G"). Il primo colpo andò a vuoto, ma il secondo ebbe maggior fortuna purtroppo.
Quello che più mi ha colpito di questa vicenda è la motivazione assurda della campagna di Grecia. La storiografia ufficiale parla, unanimemente, di un colpo di testa di Mussolini, il quale, dopo aver appreso che i tedeschi avevano occupato la Romania senza consultarsi con Roma, voleva ora ripagare Hitler con la stessa moneta. Anche ammettendo che ciò sia vero, bisognerebbe mettere i fatti in relazione con le rivelazioni di Corvisieri, Carafoli, De Risio e Manfredi oltre che con le acute analisi di Bandini.
Dobbiamo riflettere sul dato obiettivo che la “guerra parallela” degli italiani in Grecia e nell’Egeo di fatto sbarrava la strada a una possibile discesa della Wermacht dalla Romania ai pozzi di petrolio del Golfo Persico attraverso la Bulgaria e la Turchia. Che Mussolini ne fosse cosciente o meno, si trattava comunque di una mossa fatta per sabotare la guerra di coalizione nell’interesse dell’Inghilterra.
Le due ipotesi che ho esposto aprono scenari diversi. Se Mussolini non era cosciente di queste implicazioni strategiche, ne consegue che fu ingannato dai suoi collaboratori. Un indizio in questo senso si trova nei depistaggi del SIM, che ispirano la valutazione secondo i quali Malta e Suez erano obbiettivi troppo duri, mentre la guerra alla Grecia sarebbe stata una scampagnata.
Ipotizziamo ora che, attaccando la Grecia, Mussolini fosse cosciente di agire contro gli interessi tedeschi e in difesa di quelli inglesi. Se così fu, dobbiamo arguire che egli stesse piano piano maturando la consapevolezza che i generali e gli ammiragli non volevano combatterla la guerra contro l’Inghilterra, perciò ripiegava su un’azione limitata contro “una nazione garantita” da Londra; e per far ingoiare la pillola ai vertici delle Forze Armate provò a contrabbandare quell'azione come un atto anti-tedesco. C'è, anche in questo caso, un indizio: "se (i generali) trovano difficoltà anche a battersi contro i greci, do le mie dimissioni da italiano" - affermò Mussolini con la consueta enfasi retorica.
Adesso diventa interessante indagare il comportamento del traditore Badoglio e del genero del dittatore, il conte Galeazzo Ciano, che era titolare del dicastero degli Esteri ed era notoriamente filo-inglese. Nei verbali delle riunioni citati da De Risio, la situazione fu esposta nei seguenti termini: l'esercito greco era inferiore per numero, mezzi e addestramento alle truppe italiane schierate in Albania, la Bulgaria sarebbe entrata in guerra al fianco dell’Italia e la popolazione greca non aveva voglia di combattere. Inoltre Ciano millantava di aver corrotto generali e uomini politici greci, che - a suo dire - erano sul punto di rovesciare il governo del generale Metaxas. Bastava una spallata, insomma, per provocare il crollo del fronte interno in Grecia: per questa spallata lo stesso Visconti Prasca sosteneva di disporre di forze più che sufficienti.
Come si vede i documenti smentiscono la vulgata popolare di un colpo di testa di Mussolini, che, di punto in bianco e motivato da futili motivi, gettò gli stati maggiori in una difficile situazione in cui bisognava fare qualcosa. Al contrario, il capo del Governo prese una decisione ponderata dopo accurate discussioni con i capi dell'esercito e della diplomazia. Il problema è che quelle discussioni si basavano su informazioni false e assolutamente contrarie alla realtà. Questo, però, il capo del Governo non poteva verificarlo: poteva solo affidarsi alle informazioni fornite dal Ministero della Guerra e dal Ministero degli Esteri per trarre le necessarie conclusioni.
E Badoglio? L’impresa di Grecia, a suo dire, era "facile e opportuna": così dichiarò nella riunione del 15 ottobre, il cui verbale è citato da De Risio. Solo nel corso dell'ultimo briefing, ormai nell’imminenza dell’azione, Badoglio volle sganciarsi dalle sue responsabilità prima che fossero manifeste e fece mettere a verbale di essere contrario a quella campagna: da questo appunto nacque il mito di un Mussolini guerrafondaio e inetto al che, sordo ai consigli del saggio Badoglio, scatenò una guerra tragica e inutile.
Il 28 ottobre, dieci giorni dopo l’arrivo del primo convoglio di moderni equipaggiamenti per la 8° Armata inglese in Egitto, iniziò l'invasione della Grecia, che nel giro di pochi giorni si trasformò in una catastrofe. Lo stato maggiore italiano aveva sbagliato completamente i suoi calcoli in base ai quali 6 divisioni greche già mobilitate si opponevano a 10 italiane presenti in Albania con una netta superiorità in fatto di artiglierie e aviazione a nostro favore. Calcoli più accurati dimostrarono invece che a 15 reggimenti italiani si contrapponevano 45 reggimenti greci. Inoltre le truppe greche erano state addestrate alle moderne tecniche della guerra di fanteria da istruttori francesi e il loro equipaggiamento individuale, di importazione straniera, era migliore di quello italiano. Anche l’artiglieria greca era superiore alla nostra, mentre la superiorità aerea italiana nei mesi invernali non poté essere sfruttata adeguatamente a causa del maltempo. Ciò fu accertato dal generale Cesare Amé che aveva rilevato Carboni alla direzione del SIM da poche settimane. Amé mise tutto nero su bianco in un memorandum inviato, ahimè, troppo tardi al re, al Duce e al maresciallo Badoglio. Perché questo ritardo? Perché Badoglio aveva steso una cortina di impenetrabile silenzio tra lo stato maggiore generale e i Servizi, che ora non erano più diretti da un uomo di sua fiducia. Lo afferma lo stesso Amé e la sua testimonianza è pubblicata nel libro di De Risio. Queste informazioni erano già in possesso del SIM all'epoca della direzione di Carboni, che era un uomo di Badoglio, ma a Mussolini fu presentata una situazione diametralmente opposta e il verbale della riunione del 15 ottobre lo dimostra: ecco la prova del tradimento!
La catastrofe incombeva sul fronte greco-albanese. Urgevano rinforzi, ma non ce n’erano: poche settimane prima il solito Badoglio ci aveva messo lo zampino ordinando il congedo di trenta divisioni addestrate, che fino a quel momento si trovavano in Puglia. E’ Solange Manfredi a informarci di questa incredibile situazione. A sua volta De Risio fornisce la cifra di 300.000 soldati smobilitati. In seguito, in una lettera inviata in duplice copia a Mussolini e a re Vittorio Emanuele III, il generale Visconti Prasca usò i termini “sabotaggio” e “tradimento” per definire l'ordine di Badoglio.
Non appena si profilò il disastro giunse in Albania il generale Pricolo, all’epoca sottosegretario di stato all’Aeronautica e capo di stato maggiore della Regia Aeronautica. Egli agiva come fiduciario del Duce per raccogliere informazioni sul campo e valutare la situazione. Questo aneddoto dimostra che Mussolini non si fidava più delle informazioni e delle valutazioni degli stati maggiori. Quando poi Pricolo presentò la sua relazione, il dittatore ebbe la certezza che Ciano, Badoglio e Visconti Prasca lo avevano ingannato. Nacque così l'idea di spedire i gerarchi al fronte: il Duce voleva che vedessero con i loro occhi il tradimento, la malafede e il dilettantismo con i quali la campagna era stata preparata e condotta.
Per nascondere la negligenza e il dolo nel dopoguerra fu inventata la leggenda del Duce che dirigeva ogni aspetto della guerra compiendo per ignoranza una serie di scelte catastrofiche che i militari di professione, come Badoglio, invano avevano sconsigliato. La visita dei gerarchi al fronte fu addirittura derubricata a “gita” con scopi propagandistici: “armiamoci e partite” fu il sarcastico slogan ripetuto da generazioni di pecoroni. Le cose, come abbiamo visto, stavano in ben altri termini.
7. Scacco matto in tre mosse.
La nuova situazione venutasi a creare con l’apertura del fronte greco consentì all'Inghilterra di insediare truppe, aerei e navi a Creta e nei porti della Grecia continentale col consenso del governo ellenico: una vittoria strategica ottenuta senza nemmeno combattere, ma addirittura servita su un piatto d'argento da Ciano e Badoglio.
All'inizio del conflitto l'Ammiragliato britannico considerava Malta indifendibile e il Governo l'aveva già data per persa in partenza. Nel corso dell'estate, però, la Royal Navy era riuscita a rifornire l'isola di uomini e di mezzi trasformandola in una munita base aeronavale con la quale insidiare il nostro traffico navale verso la Libia. Tutto ciò era avvenuto sotto il naso dei nostri ammiragli, che non avevano alzato un dito per impedirlo. Un'altra vittoria strategica era stata conseguita dagli inglesi senza combattere: stavolta gli era stata regalata dall'ammiraglio Domenico Cavagnari, all'epoca sottosegretario di stato alla Marina e capo di stato maggiore della Regia Marina.
Al termine di una di queste operazioni di rifornimento dell’isola di Malta, precisamente nella notte tra 11 e il 12 novembre, una dozzina di aerei inglesi decollati dalla portaerei Illustrious sorprese la flotta italiana all'ancora nel porto di Taranto: la corazzata Cavour fu affondata e altre 3 unità gravemente danneggiate su un totale di 6 corazzate. I movimenti navali inglesi erano stati conosciuti per tempo, ma i vertici della marina si erano rifiutati di far uscire la flotta per dar battaglia e avevano atteso passivamente l'attacco inglese. Si seppe poi che, malgrado la decisione adottata, l'ammiraglio comandante della base navale non aveva preso tutte le misure previste per difendersi da un attacco aereo. La maggior parte dei palloni frenanti e delle reti parasiluri giacevano ancora nei magazzini del porto, inutilizzati. La contraerea, inspiegabilmente, oppose scarsa o nulla resistenza. Inoltre i piloti inglesi operavano a colpo sicuro malgrado le tenebre: ciascuno di loro conosceva esattamente l'ubicazione del suo bersaglio.
Dopo quella che passò alla storia come la "Taranto night" la superiorità nel Mediterraneo per un certo periodo passò dalla Regia Marina, che non aveva saputo approfittarne, alla Royal Navy. A questo punto l'opera di infiltrazione ai più alti livelli attuata dai suoi servizi aveva consentito all’Inghilterra di rovesciare a proprio vantaggio la situazione nel Mediterraneo prima ancora che una sola battaglia degna di questo nome fosse combattuta. L'Italia fascista aveva perso la guerra delle spie e il danno era irrimediabile.
Del rovescio della Fortuna fecero le spese Badoglio e l'ammiraglio Cavagnari, che furono entrambi dimissionati. Il cambio della guardia, però, arrivava troppo tardi. A partire dal 18 ottobre la 8° Armata inglese iniziava ad essere rifornita di moderni mezzi per la guerra meccanizzata, mentre in novembre i nostri convogli per l’Africa carichi di armi, munizioni e carburante venivano sistematicamente attaccati dagli aerei e dai sommergibili dislocati sull’isola di Malta.
8. La sconfitta più umiliante.
All'inizio di settembre la 10° Armata italiana era avanzata di 200 chilometri in territorio egiziano e si era fermata a Sollum per i limiti obbiettivi di un territorio privo di risorse, di strade e di porti. Per ovviare alla situazione il maresciallo Graziani ordinò di costruire una strada che congiungesse il fronte con i porti di Tobruk e Bengasi: condizione necessaria per riprendere l'offensiva. Nel frattempo continuava a sollecitare l'invio di autocarri e blindati ritenendo di avere di fronte forze nemiche soverchianti.
In realtà la situazione delle forze armate britanniche era talmente catastrofica che solo ai primi dicembre la 8° Armata fu in grado di organizzare un piccolo corpo di spedizione per compiere un raid dietro le linee italiane. Si trattava di 40.000 soldati soltanto e per di più equipaggiati in maniera incompleta: non era stato possibile fare di più. Questo, almeno, è scritto nel libro del critico militare Lidell Hart. L'aneddoto ci dice molto a proposito delle fantomatiche forze nemiche decantate per mesi e mesi da Badoglio e Carboni.
Se un’operazione su piccola scala si tramutò in una disfatta senza precedenti nella storia fu a causa degli errori di valutazione del maresciallo Graziani. A sua discolpa si può dire però che fu colto completamente di sorpresa da un attacco condotto con un tempismo così sorprendente, da risultare persino sospetto.
Dunque Graziani si accingeva a riprendere l'offensiva, ma non fece in tempo: fu anticipato di pochi giorni dagli inglesi. La sua strada, così, fu usata dalle forze corazzate e motorizzate del generale O' Connor che dilagarono nella Cirenaica italiana dopo aver aggirato le nostre posizioni nel deserto. Senza questa strada il successo inglese non avrebbe avuto una valenza strategica, ma solo locale, perché le piste del deserto non erano adatte a una penetrazione in profondità. Si può dire che Graziani, suo malgrado, offrì al nemico la vittoria su un piatto d'argento. Questa è solo la prima di una serie di fortunate coincidenza per gli inglesi.
Una volta aggirate le nostre linee, le colonne della Western Desert Force avanzarono senza bisogno di combattere: ma i soldati italiani dov'erano? Le retrovie italiane in realtà non erano presidiate perché tutte le truppe erano state avviate verso il fronte. Per altro la nuova situazione generò un caos indescrivibile, tra reparti che avanzavano per la prevista offensiva e altri che si ritiravano in base ai nuovi ordini ricevuti. Le pessime comunicazioni radio peggiorarono la situazione. Tutto si volgeva magicamente a vantaggio degli inglesi: un'altra fortunata coincidenza!
L’aviazione italiana in Libia era di tutto rispetto, ma fu annientata immediatamente e senza nemmeno avere l'opportunità di combattere. Il caso volle che gli aerei e i piloti fossero stati trasferiti dagli aeroporti della Cirenaica alle piste di atterraggio avanzate per la prevista offensiva: qui furono sorpresi dagli aerei inglesi, che distrussero al suolo tutti i velivoli. La RAF conosceva perfettamente sia l’ubicazione di queste piste sia la circostanza che gli aerei vi erano appena atterrati. Un'altra fortunata coincidenza!
Tagliati fuori dalle basi nelle retrovie, i soldati italiani abbandonarono gli avamposti nel deserto e ripiegarono, tentando di sfuggire ai posti di blocco che i soldati inglesi predisponevano per catturarli. La RAF bersagliava quotidianamente queste colonne di disperati che marciavano per lo più a piedi. Senza benzina, né munizioni, né cibo, né acqua i nostri non potevano né sfuggire all'inseguimento del nemico, né combattere e nemmeno sopravvivere nel deserto. Per questo si arrendevano in massa senza nemmeno opporre resistenza, a parte casi isolati di eroismo. Ciò accadeva perché i depositi di munizioni, di acqua, di cibo e di carburante, lasciati sguarniti nelle retrovie, erano caduti nelle mani del nemico, che ne conosceva in anticipo l'ubicazione e se ne serviva per le sue esigenze operative. L'ennesima, fortunata coincidenza per gli inglesi!
A questo punto Graziani ci mise del suo: in una situazione già critica il comandante perse la testa e diramò ordini contradditori fino al crollo completo della 10° Armata. L’offensiva nemica si esaurì a Beda Fomm nel gennaio 1941: a quel punto 130.000 soldati italiani si erano arresi quasi senza combattere, secondo la testimonianza di Lidell Hart.
Rimosso dal comando, il nostro "valoroso" condottiero osò lamentarsi che il suo esercito era una pulce travolta da un elefante. Tale impressione dovette essersi radicata nella sua mente tramite la lettura quotidiana dei bollettini del SIM predisposti dal generale Carboni tra luglio e ottobre. Era, ancora una volta, una mistificazione creata ad arte dalle quinte colonne inglesi all’interno del Comando supremo. Non aveva tutti torti Mussolini quando osservò che "è una ben strana pulce quella che dispone di 1.000 cannoni!” In realtà i documenti attestano che alla vigilia delle operazioni la 10° Armata italiana disponeva di 160.000 soldati, con una superiorità di 4 a 1 rispetto alla Western Desert Force di O' Connor. Gli italiani erano nettamente superiori nel campo dell'artiglieria, gli inglesi in quello dei mezzi blindati e le forze aeree delle due parti si equivalevano per numero di mezzi. Queste informazioni si possono trarre da De Risio sulla base della testimonianza resa dal generale Cesare Amé, che per altro coincide con la ricostruzione di Lidell Hart che si basa su fonti tedesche e inglesi.
In Africa le cose andarono come andarono per diverse ragioni, tra le quali il fatto che i piani nemici - particolareggiati in ogni minimo dettaglio - contemplavano la perfetta conoscenza del nostro schieramento e pure dei piani aggressivi del maresciallo Graziani, che fu colto, per così dire, in contropiede. Pur senza dimenticare l’attività di ricognizione aerea della RAF e la ricognizione tattica delle squadre dello SAS, pur ammettendo inoltre che Ultra possa aver captato qualche informazione è difficile non immaginare un’azione di spionaggio condotta ai massimi livelli da parte dell’Intelligent Service britannico alla base della vittoria inglese in Nord Africa nel dicembre 1940.
9. La guerra delle spie.
Dopo essere stato destituito da Mussolini (dicembre 1940) Badoglio non si accontentò certo di giocare a boccette come raccontano gli storici, ma riprese i suoi complotti per rovesciare Mussolini. Il ricercatore José Mario Cereghino ha pubblicato i cablogrammi inviati dalla stazione del SOE in Svizzera al Governo inglese con i dettagli delle trattative condotte a titolo personale da Badoglio. I documenti pubblicati abbracciano tutto il 1942 e i primi 7 mesi del 1943. E' sorprendente la differenza di toni tra Mussolini e Badoglio all'indomani delle vittorie di Gaza-Tobruk e di Sidi el Barrani che spalancarono alle forze dell'Asse le porte dell'Egitto: mentre Mussolini annunciava trionfalmente che gli italo-tedeschi inseguivano gli inglesi in rotta verso il delta del fiume Nilo, il SOE informava Churchill che Badoglio era pronto a inviare in Africa un generale di sua fiducia per organizzare un esercito con disertori italiani armato dagli inglesi col quale rovesciare il governo! (Cfr. Storia in Rete, non ricordo il numero: potete controllare voi sul sito).
L'attività informativa inglese a quanto pare si focalizzava sui convogli che dall’Italia salpavano per rifornire l’Afrika korps e la 1° Armata italiana in Libia, che era subentrata alla 10°. A questo riguardo il prefetto Guido Leto, che fu a capo dell’OVRA, affermò che dal 1940 era attiva una fonte – nome in codice: “Roberts” – che trasmetteva questi segreti agli inglesi. Le sue ricerche e quelle dell’ammiraglio Ricciardi, successore di Cavagnari, non portarono però all'identificazione di una talpa all'interno del comando superiore della marina a Roma. Quando l’intero staff dell’organizzazione fu cambiato, la fonte “Roberts” tacque, ma solo per breve tempo e come misura prudenziale. Da ciò Leto deduce che si trattasse di un personaggio altolocato che pur non trovandosi nel comando superiore della marina era a conoscenza dei suoi piani: l'unico altro organo dove questi piani erano conosciuti era lo Stato Maggiore Generale, che si trovava presso il Ministero della Guerra. Leto non fa il nome della fonte "Roberts", ma è facile capire di chi stia parlando (F. Fucci, “Le polizie di Mussolini”, Mursia).
A questo punto che sia utile ricordare che Pietro Badoglio per legge aveva diritto, in quanto maresciallo d’Italia, a un ufficio nel Ministero della Guerra: da qui, ipotizzo, egli poteva riaccogliere informazioni preziose da quegli ufficiali di stato maggiore di cui aveva favorito la carriera. A questo punto ufficiali del SIM come il generale Carboni e il colonnello Prefetti potevano fungere da corrieri per la spia Cambareri senza destare sospetti.
Per capire l’importanza di questa attività spionistica bisogna mettere in chiaro che tutte le vittorie ottenute dalla 8° Armata inglese in Africa Settentrionale furono precedute da un’azione aeronavale vigorosa e continua contro i nostri convogli, che presupponeva l’esatta conoscenza delle rotte e il contenuto dei carichi imbarcati su ciascuna nave. Ad esempio nel mese che precedette la battaglia di El Elamain molti mercantili italiani furono affondati e molti altri, pure attaccati, riuscirono a salvarsi, ma non una delle navi cisterna italiane cariche di petrolio arrivò a destinazione! Si trattava dunque di una caccia selettiva, come ammette anche Giorgerini.
Il generale Von Thoma, che fu a capo dell'Afrika Korps durante la battaglia di El Alamein, ricorda che dopo essere stato fatto prigioniero fu condotto al cospetto del generale Mongomery: invece che interrogarlo, il comandante inglese gli rivelò l'esatta consistenza e l'ubicazione di tutte le sue forze. "Sembrava che conoscesse la nostra situazione come la conoscevo io" - commentò il generale tedesco. Questa straordinaria testimonianza si trova nel libro Liddel Hart e spiega tutto, a mio avviso.
Quanto al lavoro di decriptazione dell'organizzazione Ultra, parliamo di un mito che non ha alcuna attinenza con la realtà. Infatti alcuni anni fa i documenti inglesi furono oggetto di uno studio particolareggiato da parte dell'ammiraglio Donnini, che durante la Seconda guerra mondiale fu a capo del reparto di intercettazione e decriptazione della marina: uno specialista del settore, insomma. L'ammiraglio è arrivato alla conclusione che solo una piccola percentuale dei messaggi decriptati da Ultra riguardava le operazioni nel Mediterraneo e che questi erano soprattutto messaggi della Luftwaffe. Da ciò si deduce che le autorità e il mondo accademico usano il nome di Ultra per non pronunciare quello, molto più scomodo, di tradimento.
A mio avviso i decriptatori inglesi possedevano i codici italiani trasmessi dalla fonte "Roberts" e forse anche da altre fonti. Il lavoro di decriptazione, a questo punto, poteva essere effettuato comodamente negli uffici della Royal Navy ad Alessandria d'Egitto o in quelli del Royal Army al Cairo. Se vera, questa mia ipotesi spiegherebbe le scarse perfomance di Ultra nella guerra contro l'Italia a fronte degli straordinari risultati dell'intelligence inglese nel suo complesso. Io credo che l'esito alterno delle operazioni in Africa Settentrionale e nel Mediterraneo tra il 1940 e il 1943 fu influenzato in maniera decisiva dalla capacità inglese di conoscere o meno i nostri piani, perché le spie a Roma non mancavano ma la vigilanza di diversi organi di polizia e di controspionaggio era sempre attiva e i codici delle nostre telecomunicazioni cambiavano frequentemente.
10. L' 8 settembre.
Secondo Corvisieri i preparativi del golpe badogliano vennero portati avanti nell'appartamento della spia Cambareri dal generale Carboni e dal colonnello Prefetti del SIM. Già dal 1941, quando ancora le sorti della guerra erano incerte, essi avevano predisposto un piano per catturare Mussolini. Si resta senza parole al pensiero che i vertici dei nostri servizi segreti lavorassero per rovesciare il governo d'intesa col nemico invece che essere d'ausilio alle decisioni più critiche in campo politico e militare.
Alla fine le manovre di Grandi e Ciano, notoriamente filo-inglesi, convinsero la Corona a dare via libera a un piano che Badoglio meditava già dal 1939. Il colpo di stato militare ebbe luogo il 25 luglio 1943 e fu seguito passo a passo dal SOE come dimostrano i cablogrammi pubblicati da Cereghino.
La cosa più incredibile di tutta la faccenda consiste nel fatto che, malgrado tutto, il traditore Badoglio non aveva ancora un accordo in tasca con gli Inglesi, che infatti si irrigidirono subito sulla posizione della resa incondizionata. Stendiamo un velo pietoso sulle trattative tragicomiche intraprese a suo nome da vari personaggi, l’uno all’insaputa dell’altro, per giungere a un armistizio. Ricordiamo invece che il generale Carboni riprendeva il suo posto a capo del SIM: si ricostituiva così il binomio che da 4 anni lavorava in modo indefesso per distruggere l'Asse Roma-Berlino.
I risultati non tardarono a vedersi, purtroppo. Ancora una volta Badoglio compì un drammatico errore di valutazione, ritenendo che l’annuncio dell’armistizio fosse un passo non necessario, che potesse anzi rimanere segreto per un periodo indefinito. Forse si illudeva che i Tedeschi e gli Alleati avrebbero continuato a darsele di santa ragione lasciando in pace il nostro esercito. Forse credeva di attendere comodamente fino a quando non gli fosse giunta dagli Alleati una richiesta formale di aiuto, che, se accettata, avrebbe garantito all'Italia lo status di alleata. Allora nessuno più avrebbe parlato di quella vergognosa resa senza condizioni sottoscritta a suo nome dal generale Castellano al quale, per altro, non aveva fornito nemmeno le necessarie deleghe.
Si ripeteva così quella commedia degli equivoci, nella quale Badoglio aveva già recitato durante il periodo della non belligeranza. Infatti, come abbiamo visto, dalla primavera del 1940 gli Alleati avevano brigato perché i tedeschi calassero in Italia o come alleati o come nemici. In ogni caso un "generoso" contributo di sangue da parte italiana era un elemento ineludibile dei piani decisi a Londra. Una posizione di attesa da parte italiana non fu mai contemplata da Churchill e Roosevelt. Ma da molti anni ormai Badoglio aveva sacrificato ogni considerazione morale e persino il suo intelletto alla brama smodata di potere. Egli si apprestava perciò ad assecondare di nuovo, senza comprenderli, i piani del nemico. Pertanto le vicende dell'8 settembre 1943 lo sorpresero nella stessa identica maniera di quelle del 10 giugno 1940.
Anche Carboni non aveva abbandonato i suoi antichi vizi. Per scongiurare l’aviosbarco americano aveva preparato valutazioni fantastiche sull’entità delle forze tedesche schierate nei dintorni di Roma. Si può intuire che egli agisse su direttive di Badoglio, o almeno per compiacerlo, perché il nuovo capo del governo voleva le mani libere: il previsto aviosbarco, invece, avrebbe fatalmente provocato il coinvolgimento delle truppe italiane nei combattimenti tra tedeschi e americani. In realtà le truppe e gli aerei americani, in aggiunta al corpo d’armata motocorazzato italiano schierato a difesa della capitale, sarebbero bastati per avere facilmente ragione delle truppe tedesche schierate nella zona; per tagliare fuori le truppe tedesche schierate nell’Italia meridionale; per mantenere in piedi il regio esercito a sud della linea degli Appennini, abbreviando non di poco la durata dell’occupazione tedesca della penisola. Gli Alleati però non si fecero abbindolare: compresero che Badoglio e Carboni stavano venendo meno alla parola data e si innervosirono. L'aviosbarco fu annullato, ma l'annuncio dell'armistizio fu ugualmente trasmesso via radio dagli Alleati: così Badoglio e la cricca si trovarono da soli ad affrontare la vendetta tedesca.
Per le ragioni che ho esposto, Badoglio non aveva preparato alcun piano e fu sorpreso dagli eventi. Tutti si diedero alla fuga per timore di comparire, prigionieri, al cospetto di Hitler: il re, il governo, gli stati maggiori...
Restava il solo corpo d’armata moto-corazzato, anch’esso agli ordini del generale Carboni, a difendere Roma. Posso dire senza tema di smentita che Alberto Sordi nei panni del Marchese del Grillo difese la Città Eterna con lo stesso vigore del generale Carboni! Infatti, mentre infuriava la battaglia tra italiani e tedeschi e l'esito era ancora incerto, il nostro "eroe" abbandonò il suo posto di comando per nascondersi a casa del solito Cambareri.
Molti storici hanno sostenuto che le forze tedesche nella zona erano così esigue – appena due divisioni – che la guarnigione italiana avrebbe potuto difendere con successo la capitale: ne consegue, secondo questa tesi, che la resa fu il frutto di un’intesa segreta di carattere politico. A Kesserling sarebbero stati regalati la città di Roma e la persona di Mussolini in cambio della salvezza del re, del governo e degli stati maggiori. Se questo è vero, chi poteva negoziare un simile accordo se non il generale Carboni, che era contemporaneamente a capo del SIM e del corpo d’armata motocorazzato?
In seguito le stime distorte sull’entità delle forze tedesche permisero a Carboni di accreditare la versione di una eroica difesa di Roma compiuta da pochi e coraggiosi soldati contro forze nemiche soverchianti. La solita, vecchia favola del coraggio sfortunato!
Mentre re "Sciaboletta", il traditore Badoglio e tutti i generali e gli ammiragli fuggivano a Bari nel resto d'Italia, in Francia, nei Balcani e nell'Egeo centinaia di migliaia di nostri soldati furono sorpresi e sopraffatti dai tedeschi. Non reagirono perché nessuno, da Roma, aveva dato loro istruzioni su come comportarsi: Badoglio, in quel momento, aveva altro per la testa! Finirono tutti internati nei lager tedeschi, dove furono trattati in modo disumano. Scontarono il fio, essi soltanto, per il tradimento di Badoglio e della sua cricca.
Così l'esercito italiano, che bene o male, si era battuto per Mussolini per 39 mesi, si sfaldò in pochi giorni nell'ottobre del '43. Anche di questo bisogna ringraziare il traditore Badoglio!
Postilla.
L' 8 settembre 1943 la flotta italiana si consegnava quasi intatta agli inglesi nel porto di Malta, proprio come auspicato dal governo britannico fin da giugno 1940. Curiosamente all'indomani dell'ingresso in guerra dell'Italia Churchill aveva promesso un premio a ogni comandante italiano che si fosse arreso con la sua nave. Esisteva un vero e proprio tariffario in base alla categoria di naviglio. Lo sostiene Giorgerini nel suo libro.
Quando costò la consegna dell'intera flotta italiana? Io non lo so. Bisognerebbe chiederlo all'ammiraglio Maugeri, che all'epoca era capo del Servizio Informazioni Segrete della marina e che successivamente fu decorato dal Governo americano per i servigi resi alla US Navy in tempo di guerra....
Con questo breve saggio spero di essere stato d'aiuto a quanti vogliano comprendere come perdemmo la guerra.
Enrico Montermini, 12/11/2016
Bibliografia consultata:
- Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, I libri di IF.
- Piero Baroni, La fabbrica della sconfitta, Settimo sigillo.
- Domizia Carafoli, Il Viceduce, Mursia.
- F. Castellano, P. Formiconi, Italo Balbo e le grandi manovre in Libia del 1938, Storia Militare
- Silverio Corvisieri, Il Mago dei generali, Odradek.
- Carlo De Risio, Servizi segreti generali fascismo, Mondadori.
- Franco Fucci, Le polizie di Mussolini, Mursia.
- Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare, Mondadori.
- Basil Liddel Hart, Storia di una sconfitta, Bur.
- Solange Manfredi, Psyops.
Badoglio, l'uomo chiave.
Il maresciallo Pietro Badoglio, capo di Stato Maggiore Generale, era il massimo esponente della massoneria castrense e l’uomo di fiducia su cui puntava re Vittorio Emanuele III per mantenere il controllo delle Forze Armate Regie. Si dice che già all’indomani della marcia su Roma il sovrano si rivolse al Duce in questi termini: “per carità, non mi tocchi Badoglio!”. Come scrisse la penna ispirata di Indro Montanelli, "Badoglio non era né fascista né antifascista: era semplicemente... badogliano!" Solange Manfredi ha messo in rilievo il fatto che fin dall’epoca della crisi abissina i servizi segreti alleati individuarono in lui l’uomo chiave per distruggere dall’interno il Regime fascista (S. Manfredi, “Psyops”).
Per agganciare l’anziano maresciallo, che non sembrava mai sazio di onori denaro e potere, l’ Intelligent Service britannico adoperò Giuseppe Cagliostro Cambareri: massone, teosofo e sedicente mago. Le informazioni sul suo conto le prendo dalla bella biografia scritta da Silverio Corvisieri, al quale attinge ampiamente anche la Manfredi (Cfr. S. Corvisieri, “Il mago dei generali”, Odradek). L’avventura spionistica del Cambareri inizia nel 1934 sotto la protezione di altolocati uomini politici. Già all’epoca della guerra civile spagnola la spia aveva sistematicamente corrotto alti ufficiali dell’esercito e del Servizio Informazioni Militare. Per far girare le mazzette aveva fondato la T.I.E.S.A. , una fantomatica società di importazione di caffè dal Brasile che fungeva in realtà da copertura per i servizi britannici. Cosa c’entrasse il caffè con le forniture dell’esercito non era chiaro, ma nessuno osò chiedere spiegazioni perché il presidente della società del Cambareri era Mario Badoglio, che era figlio dell’anziano maresciallo e alto dignitario massonico. La spia si serviva di lui come tramite per conferire col padre, mentre gli uffici erano regolarmente frequentati da generali e colonnelli. Tra questi ricordiamo: il generale Quintino Armellini, consigliere militare del re e già braccio destro del maresciallo Badoglio all’epoca della guerra d’Etiopia; il generale Giacomo Carboni, che dal 1939 al 1940 fu a capo del Servizio Informazioni Militare; il colonnello Prefetti, anch’egli in servizio al SIM. L’elenco però è molto più lungo e rimando, di nuovo, al lavoro di Corvisieri per maggiori informazioni.
Il 1 settembre 1939 scoppiava la Seconda guerra mondiale: quello stesso giorno Pietro Badoglio prendeva contatto col presidente americano Roosevelt per mezzo del console brasiliano Vinicius Da Veiga. A fare le presentazioni era stato il solito Cambareri. Attraverso uno scambio segreto di messaggi cifrati trasmessi per via diplomatica Badoglio (nome in codice: "Immigrant") comunicò a Roosevelt (nome in codice: "Manager") che in Italia c’era un gruppo di alti ufficiali che si opponevano al fascismo e che erano pronti a rovesciare Mussolini se avesse spinto il Paese in guerra. “Manager” e “Immigrant” concordarono che quest’ultimo avrebbe garantito la neutralità dell'Italia; e se ciò non fosse stato possibile avrebbe almeno differito il più possibile la nostra entrata in guerra. Queste scioccanti rivelazioni si trovano nell'autobiografia di Da Veiga citata da Corvisieri.
Alla luce di quanto detto non stupisce che l'anziano maresciallo si fosse impuntato affinché le forze meccanizzate del Regio Esercito fossero dislocate nella Pianura padana e in Albania. Le sole voci di critica a tale decisione le pronunciarono il Viceré della Libia, Italo Balbo, e il generale Baistrocchi, che avevano garantito a Mussolini che si poteva raggiungere facilmente l'Egitto con un raid dalla Libia. Infatti nel settembre 1939 la brigata di riservisti inglesi che difendeva il canale di Suez poteva essere facilmente sopraffatta dai nostri parà se solo avessero ricevuto immediati rinforzi da terra e dall'aria. L’operazione era fattibile e per dimostrarlo allo stato maggiore Balbo aveva appositamente organizzato le grandi manovre in Libia nell’estate del ’38 (cfr. F. Castellano, P. Formiconi, “Italo Balbo e le grandi manovre in Libia del 1938”, Storia Militare). Perciò Balbo preparava tabelle di marcia di reparti che esistevano solo sulla carta, ma al tempo stesso sollecitava concretamente l’invio di uomini e mezzi: soprattutto autoblinde, carri armati e autocarri. Badoglio troncò questi preparativi avvisando Balbo che era "esercizio futile e ozioso" fare piani che non si potevano realizzare. Irrealizzabili questi piani lo divennero solo nell’estate del ’39, allorché il capo di stato maggiore generale sottrasse tutti gli autocarri e i quadrupedi assegnati alle truppe metropolitane in Libia. Poiché un esercito appiedato non può muoversi nel deserto, vi era la certezza che il canale di Suez, così vitale per la strategia navale britannica, non sarebbe stato minacciato. Badoglio si confermava dunque l'uomo chiave per compromettere tutti i piani di guerra dell'Italia fascista, che senza la sua autorizzazione non potevano essere nemmeno predisposti.
2. Una guerra preventiva?
La neutralità italiana promessa da Badoglio a Roosevelt rientrava nei desideri di Londra e di Parigi in quel periodo passato alla storia come la "strana guerra". Tuttavia tra febbraio e marzo del 1940 gli orientamenti di Londra cambiarono. Dobbiamo al giornalista Franco Bandini l'intuizione che l'entrata in guerra dell'Italia fu una fredda decisione presa dal governo inglese per impedire che il completamento dei programmi di riarmo navale predisposti fin dal 1934 trasformassero l'Italia nella maggior potenza militare del Mediterraneo. Ciò sarebbe avvenuto a cavallo tra il 1941 e il 1942, quando sarebbero entrate in servizio le moderne corazzate Littorio, Vittorio Veneto, Roma e Impero. Per l’Ammiragliato inglese non c’era più tempo da perdere: bisognava colpire subito per eliminare la minaccia prima che si concretizzasse. Era necessaria una guerra preventiva e per provocarla il Foregn Office alla fine di febbraio del 1940 decretò l’embargo del carbone contro l’Italia, violando impunemente il diritto internazionale. Questa misura punitiva, che entro pochi mesi avrebbe paralizzato l'industria bellica e forse tutta l’economia, avrebbe costretto l’Italia a scendere immediatamente in guerra: o al fianco dell’Inghilterra, per ricevere il carbone inglese via mare; o contro di essa, per ricevere il carbone tedesco via terra (Cfr. F. Bandini, "Tecnica della sconfitta", I libri di IF).
In entrambi i casi la Wermacht sarebbe stata obbligata a distogliere verso Sud quelle forze che invece si stavano preparando per l'imminente offensiva sul Fronte occidentale sia che si trattasse di sostenere militarmente un’Italia alleata in difficoltà sia che si trattasse di combatterla come nemica. Se tutto fosse andato secondo i piani la Francia forse sarebbe stata risparmiata dalla blitzkrieg nel corso del 1940, mentre già a partire dall’anno seguente l’equipaggiamento degli alleati sul fronte occidentale sarebbe stato nettamente migliore. (Cfr. F. Bandini, op. cit). Questo tipo di operazione che fu studiata a Londra nel gergo militare viene chiamata “diversione strategica”.
Secondo Corvisieri nei primi mesi del 1940 i rapporti tenuti da Da Veiga tra Badoglio e Roosevelt si interruppero per riprendere solo in aprile. L’autore non fornisce una spiegazione esauriente della faccenda, ma io credo che ciò si possa agevolmente spiegare con la visita a Roma dell'incaricato personale del presidente americano, Wells, che fu ricevuto da Pio XII e da Mussolini. E’ più che credibile che Roosevelt non volesse turbare i rapporti con il dittatore proprio mentre il suo incaricato perorava la causa della pace di fronte a lui. Per suo tramite il presidente americano promise al Duce una conferenza da tenersi alle Isole Azzorre dove l’Italia avrebbe ottenuto non ben precisati compensi coloniali. Poiché tali compensi da vent’anni venivano rifiutati in modo sdegnato dai governi di Inghilterra e Francia, Mussolini arguì che quelle fossero offerte truffaldine che miravano a dilatare l’ingresso in guerra dell’Italia mentre, in un futuro non troppo lontano, già si intravvedeva il blocco dell’intera industria pesante.
Per tali ragioni, suppongo, il dittatore rifiutò le proposte americane e annunciò ai capi militari che l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco della Germania appena possibile. Comunicò poi la sua decisione a Hitler durante l’incontro del Brennero (marzo 1940).
3. L'asso nella manica.
In primavera, secondo ricostruzione di Corvisieri, il console Da Veiga riallacciò i contatti tra Badoglio e Roosevelt. Grazie a “Immigrant” gli Alleati sapevano che l’Italia era definitivamente passata nel campo tedesco e che in qualsiasi momento si poteva attendere la sua discesa in campo. Alla luce di ciò è curioso il fatto che il dispositivo militare anglo-francese contro l'Italia non fu affatto rafforzato. Tanto più che la decisione di Mussolini andava incontro ai desideri inglesi. Contrariamente alle previsioni nei mesi di marzo, aprile e maggio intere divisioni dell’Armée furono trasferite dal confine alpino e dalla Tunisia al Fronte occidentale per opporsi alla Wermacht. Addirittura in aprile gli inglesi sciolsero temporaneamente la Mediterranean Fleet e trasferirono l’intera squadra da battaglia da Alessandria d’Egitto al Mare del Nord per partecipare alla campagna di Norvegia. Per alcune settimane Malta e il canale di Suez restarono indifesi da un’offesa proveniente dal mare, ma nessuno a Roma pensò di approfittarne. Perché? Si tratta solo della miopia dei nostri vertici militari e politici, come sostiene Franco Bandini? Ciò potrebbe spiegare l’inazione italiana, ma non giustifica l’assoluta tranquillità di un nemico che, a dispetto delle informazioni in suo possesso, sembra non nutrire alcun timore. Pare quasi che gli Alleati abbiano più informazioni sulle intenzioni italiane di quante ne abbia lo stesso Mussolini. Infatti nessuna azione, nessun preparativo, nessun piano viene predisposto dallo Stato Maggiore Generale che – incredibile, ma vero! – si fa cogliere completamente impreparato dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. Eppure Mussolini aveva messo a conoscenza Badoglio delle sue decisioni fin da marzo: cosa fece dunque quest’ultimo in tutto questo tempo? La risposta, inquietante, è la seguente: Badoglio pianificava un colpo di stato militare contro il Governo d’intesa con il nemico.
Secondo Domizia Carafoli proprio nella primavera del 1940 Badoglio iniziò i preparativi golpisti (Cfr "Il Viceduce", Mursia). Nel mirino non c’era solo Mussolini, ma anche re Vittorio Emanuele III. L’azione, più che in campo tecnico-militare, si svolge sul piano politico ed è estremamente circospetta. Badoglio tesseva nell'ombra intese e alleanze. Una sua sostenitrice era la principessa Maria Josuè, moglie del principe ereditario, che capeggiava la fronda a corte e si teneva segretamente in contatto con alcune personalità antifasciste. Favorevoli alla destituzione di Mussolini erano anche potenti gerarchi notoriamente filo-inglesi come Ciano e Grandi. Nell’ombra agivano anche gli intermediari di alcuni grandi gruppi industriali, come Fiat e Pirelli, che in quel momento facevano lucrosi affari con l'Inghilterra e la Francia. Sì, proprio così: l’industria bellica italiana in quel momento era più impegnata a riarmare i Paesi contro i quali si stava per combattere che le nostre Forze Armate! Il giornalista Piero Baroni ha dedicato diversi libri a questo tema con ampia base documentale (cfr. ad esempio “La fabbrica della sconfitta”, Settimo Sigillo).
Secondo la Carafoli se il piano golpista fosse andato a termine, sarebbero stati detronizzati sia re Vittorio Emanuele III sia il principe ereditario Umberto. Sul trono sabaudo si sarebbe seduto il figlio, ancora bambino, di quest’ultimo: in suo nome la principessa belga Maria Josué avrebbe regnato e il maresciallo Badoglio avrebbe governato. L’operazione fallì però perché all’ultimo minuto il capo della Polizia, che all'epoca era Arturo Bocchini, ritirò la propria adesione all’iniziativa. La Carafoli ha raccolto numerose testimonianze degli sfoghi di Bocchini con i suoi collaboratori contro gli intrighi nei quali Badoglio e altri lo avrebbero messo in mezzo quando lui, invece, avrebbe voluto rimanerne fuori.
A mio avviso l’indizio più significativo dell’intenzione di Badoglio di rovesciare Mussolini consiste nel fatto che da marzo a giugno egli non prepara nessun piano. Evidentemente egli dava per certo che l’Italia sarebbe rimasta neutrale, malgrado il Duce gli avesse detto l’esatto contrario. Inoltre egli sembra altrettanto certo che non sarebbe stato chiamato a render conto al capo del Governo di questa negligenza.
Resta da chiedersi perché, a quel punto, Mussolini non morda il freno. Perché il Duce non preme per visionare i piani, non chiede conto dei preparativi, non emana direttive? Anche la sua cautela è sospetta, talmente sospetta che egli arriva a confessare a Hitler che l’Italia non si sarebbe mossa prima di considerevoli successi inziali tedeschi.
Forse Mussolini aveva avuto sentore che qualcosa a Roma bolliva in pentola. Sapeva che Vittorio Emanuele III era contrario alla guerra e sapeva anche che più di uno tra i suoi collaboratori era pronto a fargli le scarpe: da ciò si può dedurre il fondato timore che una mossa in politica estera non concordata con la Corona avrebbe provocato la sua destituzione. Ciò avrebbe facilitato i piani di Badoglio, naturalmente.
Eppure il tempo lavorava contro il Duce e contro il fascismo: alla fine di maggio la maggiore tra le industrie belliche, l'Ansaldo, comunicava alle autorità preposte di possedere scorte di carbone sufficienti per soli 15 giorni, dopo di che avrebbe dovuto sospendere la produzione. Immaginiamo allora uno scenario nel quale le industrie chiudono, gli operai scioperano, le diplomazie di Londra e Parigi lanciano avvertimenti minacciosi mentre le loro navi da guerra battono bandiera di fronte ai nostri porti: messo davanti a una situazione senza via d’uscita, re Vittorio Emanuele III non avrebbe avuto altra scelta che destituire Mussolini. A quel punto chi avrebbe difeso la Corona dalla collera degli squadristi? Come un ragno al centro della tela che attende la sua preda, Badoglio aspettava pazientemente che il potere gli cadesse tra le mani. Uno scenario che anticipa di molti anni il colpo di stato del 25 luglio 1943.
4. La mano dei francesi.
In mezzo a queste trame golpiste merita un cenno Movimento Unitario di Rinnovamento Italiano, che tra maggio e giugno del 1940 fu smantellato dalla Polizia Politica grazie alla preziosa azione di intelligence svolta dall’OVRA.
Si trattava di un’organizzazione segreta con una complessa organizzazione a catena per mezzo della quale cui ogni elemento conosceva solo due persone associate con le quali poteva comunicare tramite parole-chiave tenute segrete: in pratica lo stesso schema organizzativo adottato in seguito dal Fronte di Liberazione Algerino, che viene descritto da Gillo Pontecorvo nel film “La battaglia di Algeri”. Un lavoro da professionisti, insomma, dietro il quale si nascondeva forse la mano dei servizi francesi.
Il M.U.R.I. aveva esteso i suoi tentacoli nel triangolo industriale di Torino, Milano e Genova dove si proponeva di organizzare azioni di sabotaggio e di fare propaganda sulla popolazione contro il fascismo e contro il re Vittorio Emanuele III. L’organizzazione aveva i suoi quadri dirigenti in Francia e i suoi capi, Giacosa e Valabrega, facevano avanti e indietro dal confine portando ordini ai “capi-catena”. Evidentemente gli ambienti di potere francesi stavano cedendo alle pressioni di quei circoli che, ispirati dall’esule Carlo Sforza, già dal settembre precedente insistevano per creare un governo fascista in esilio pronto a subentrare a quello fascista al momento opportuno.
Col senno di poi è facile osservare che se l’embargo del carbone avesse fatto il suo corso, già nel mese di giugno le tensioni sociali scaturite dalla chiusura degli stabilimenti produttivi avrebbero dato l’occasione al M.U.R.I. di guidare manifestazioni di aperta opposizione al fascismo, come quelle che Badoglio avrebbe represso nel sangue nell’estate del ’43.
A me pare del tutto evidente che intorno alla strategia dell’embargo del carbone decisa dagli Alleati ruotavano diverse strade che conducevano tutte verso lo stesso obiettivo: provocare l’implosione del regime fascista. Caduto il fascismo, l'Italia si sarebbe rischierata al fianco degli Alleati con tutto il suo potenziale navale: un leit-motive già visto ai tempi della Prima guerra mondiale e che si ripeterà di nuovo l'8 settembre 1943.
In ogni caso i propositi degli Alleati non concretizzarono immediatamente sia perché la vittoria tedesca sul fronte occidentale provocò un drastico mutamento della situazione, sia perché la Polizia Politica smantellò l’organizzazione segreta antifascista a cavallo tra maggio e giugno del 1940 che, come abbiamo visto, segna una data limite. Questa retata fu forse il mezzo usato da Bocchini per ammonire Badoglio a sospendere i piani golpisti? Chissà...
5. L'Italia scende in guerra.
L'emozione provocata dall'inatteso crollo della Francia generò in tutto il Paese, compresa la Corona, un subitaneo mutamento di atteggiamenti nei confronti della neutralità. Così il 10 giugno l’Italia entrò in guerra per volontà concorde del re, del Duce e dei suoi gerarchi.
I piani golpisti di Badoglio andavano miseramente in frantumi ed era lecito attendersi il redde rationem tra Mussolini e il generale traditore. Pur avendo avuto tre mesi di tempo, si è detto, Badoglio non aveva fatto alcun preparativo: in qualsiasi Paese del mondo un fatto del genere sarebbe stato discusso di fronte a una corte marziale. In Italia, invece, non successe nulla. Badoglio non solo restò al suo posto ma, curiosamente, fu autorizzato da Mussolini a emanare a suo nome una direttiva strategica che prevedeva una rigida difensiva su tutti i fronti. Tale direttiva si può leggere integralmente in un’opera dello storico navale G. Giorgerini ("La guerra italiana sul mare", Mondadori).
Perché dunque dichiarare guerra se non si intende combattere? È un punto sul quale storici, giornalisti e politici si sono sbizzarriti da oltre settant’anni. Si dice che in quel momento le Forze Armate non erano in grado di combattere a causa delle perdite di materiali subite nella guerra d’Etiopia e nella guerra civile spagnola, ma che Mussolini desiderasse solo qualche migliaio di morti per potersi sedere al tavolo della pace. Tutto ciò mi sembra una mistificazione storica che intende nascondere una verità molto più inquietante.
Andiamo per ordine e cominciamo col dire che l'efficienza di un esercito non è un concetto assoluto, ma un dato empirico che emerge dal confronto con gli eserciti dei Paesi ritenuti ostili. Premesso ciò, in che condizioni si trovava l'esercito inglese nell'estate del 1940?
Come spiegano Franco Bandini e Carlo De Risio (“Generali servizi segreti e fascismo”, Mondadori), in quel momento, a un esercito italiano numeroso ma male armato e addestrato, gli inglesi potevano contrapporre... il nulla o quasi! Infatti le truppe della Royal Army si erano ritirate da Dunquerk praticamente disarmate. In Francia era stata abbandonata la quasi totalità dei carri armati, delle autoblinde, dei cannoni, degli autocarri, delle munizioni, delle granate, dei pezzi di ricambio. Per tale ragione in quel momento c'erano solo due divisioni efficienti per difendere le isole inglesi dalla temuta invasione tedesca. In quello stesso periodo la Royal Air Force era impegnata quasi al completo nella battaglia d'Inghilterra. Tali valutazioni trovano riscontro anche nella testimonianza del critico militare inglese Basill Liddell Hart ("Storia di una sconfitta", Bur). Giorgerini afferma che persino la Mediterranean fleet in quel momento era inferiore alla Regia Marina con 3 vecchie corazzate operative contro le 6 italiane (di cui 2 nuove e con caratteristiche che non avevano eguali nella flotta inglese). Dopo queste precisazioni gli ordini emanati da Badoglio a nome di Mussolini appaiono ancora più incomprensibili. Eppure una spiegazione può e deve essere trovata.
Secondo lo studioso dei servizi segreti Carlo De Risio, il generale Carboni fin da settembre 1939 aveva dato il via, di sua iniziativa, a un gioco molto pericoloso che mirava a mantenere l’Italia neutrale. Nella sua posizione di direttore del SIM, Carboni iniziò a tempestare il capo del Governo con informative che accreditavano gli Alleati di forze soverchianti in tutto il bacino del Mediterraneo. Quando l’Italia entrò in guerra quelle valutazioni non furono riviste e continuarono a ispirare gli ordini di somma cautela emanati da Badoglio a nome del Duce. Ecco spiegato il mistero di quelle direttive, che non provavano affatti - come sostengono gli storici - l'impreparazione del nostro esercito, ma mascheravano invece il bluff degli inglesi. E il tradimento.
Perché il generale Carboni continuò questo gioco quando ormai, nell'estate del '40, i suoi propositi erano impossibili da raggiungere? Quello che De Risio non dice, ma che apprendiamo da Corvisieri, è che Giacomo Carboni era un protetto del maresciallo Badoglio ed era un frequentatore abituale di casa Cambareri, che in quel momento era già stata identificata dall'OVRA come un covo di spie - "a meno che non si tratti di un qualche centro informativo" dei nostri Servizi, aggiungeva prudentemente il documento.
Col senno di poi dobbiamo ammettere che la scelta di Mussolini di entrare in guerra nel giugno del 1940, con la Francia sul punto di arrendersi e l'Inghilterra che vacillava, fu di un tempismo eccezionale. Tra giugno e ottobre ci furono quattro mesi di tempo per marciare indisturbati fino al canale di Suez e ai pozzi di petrolio del Golfo Persico. Infatti il primo convoglio di carri armati, blindati e aerei per la 8° Armata inglese giunse ad Alessandria d’Egitto solo il 18 ottobre. Secondo Bandini quella fu l'unica occasione che abbiamo mai avuto di sferrare un colpo mortale all'Inghilterra prima dell'intervento americano e russo.
Ciò non accadde perché il depistaggio del SIM proseguì indisturbato: secondo De Risio il generale Carboni continuò ad accreditare gli inglesi di forze soverchianti che in realtà non esistevano. Chi aveva intuito il bluff inglese fu probabilmente Hitler, secondo il quale una divisione panzer e una divisione meccanizzata leggera sarebbero bastati per far sloggiare gli inglesi dall'Egitto nell'estate del 1940. Il generale Von Thoma riferì a Liddel Hart che un’offerta in questo senso fu ufficialmente presentata dall’ambasciatore tedesco a Roma. Mentre Badoglio era nettamente contrario, Mussolini era sul punto di accettare a patto che non vi fosse una netta preponderanza di forze tedesche in Nord Africa. A questo punto il critico militare inglese si lascia scappare un criptico apprezzamento: Hitler temeva che se non lo avesse aiutato a “irrigidire” la linea, Mussolini era pronto a condurre un “giro di walzer” che lo avrebbe infine condotto tra le braccia degli inglesi. Ma a chi si riferisce Liddell Hart: a Mussolini o piuttosto a Badoglio? Egli scrive in ogni caso che la decisione fatale di rifiutare l’aiuto tedesco fu influenzata dalla ferma opposizione di Badoglio, che allarmò Mussolini sulle conseguenze politiche di "un aiuto che poi si sarebbe dovuto pagare a ben caro prezzo”.
6. Una tragedia greca.
Per superare la crisi dell'estate del '40, l’Impero britannico doveva costringere l'Italia ad aprire un nuovo fronte che avrebbe fagocitato gli uomini e i mezzi che, altrimenti, sarebbero gravitati intorno a Malta, a Suez e alla valle del Nilo. Secondo un pensiero strategico maturato già nella primavera del 1939, quel nuovo fronte doveva essere ricercato nell’Europa sudorientale. Qui la diplomazia inglese poteva ricercare alleati che combattessero per lei, come nota acutamente Franco Bandini. Una guerra per procura e una diversione strategica erano ciò che alla perfida Albione serviva per riprendere fiato. La nuova situazione venutasi a creare avrebbe inoltre influenzato l'atteggiamento dell'Unione Sovietica, che all’epoca era filo-tedesca.
Per riuscire nei loro intenti gli Alleati giocarono ancora una volta la carta-Badoglio. Infatti, mentre il maresciallo Graziani, successore di Balbo, dalla lontana Tripoli continuava a invocare disperatamente carri armati e autocarri per avanzare in Egitto, il capo di stato maggiore generale presentò a Mussolini prima un piano di guerra contro la Jugoslavia (nome in codice: "esigenza E"), poi un altro contro la Grecia ("esigenza G"). Il primo colpo andò a vuoto, ma il secondo ebbe maggior fortuna purtroppo.
Quello che più mi ha colpito di questa vicenda è la motivazione assurda della campagna di Grecia. La storiografia ufficiale parla, unanimemente, di un colpo di testa di Mussolini, il quale, dopo aver appreso che i tedeschi avevano occupato la Romania senza consultarsi con Roma, voleva ora ripagare Hitler con la stessa moneta. Anche ammettendo che ciò sia vero, bisognerebbe mettere i fatti in relazione con le rivelazioni di Corvisieri, Carafoli, De Risio e Manfredi oltre che con le acute analisi di Bandini.
Dobbiamo riflettere sul dato obiettivo che la “guerra parallela” degli italiani in Grecia e nell’Egeo di fatto sbarrava la strada a una possibile discesa della Wermacht dalla Romania ai pozzi di petrolio del Golfo Persico attraverso la Bulgaria e la Turchia. Che Mussolini ne fosse cosciente o meno, si trattava comunque di una mossa fatta per sabotare la guerra di coalizione nell’interesse dell’Inghilterra.
Le due ipotesi che ho esposto aprono scenari diversi. Se Mussolini non era cosciente di queste implicazioni strategiche, ne consegue che fu ingannato dai suoi collaboratori. Un indizio in questo senso si trova nei depistaggi del SIM, che ispirano la valutazione secondo i quali Malta e Suez erano obbiettivi troppo duri, mentre la guerra alla Grecia sarebbe stata una scampagnata.
Ipotizziamo ora che, attaccando la Grecia, Mussolini fosse cosciente di agire contro gli interessi tedeschi e in difesa di quelli inglesi. Se così fu, dobbiamo arguire che egli stesse piano piano maturando la consapevolezza che i generali e gli ammiragli non volevano combatterla la guerra contro l’Inghilterra, perciò ripiegava su un’azione limitata contro “una nazione garantita” da Londra; e per far ingoiare la pillola ai vertici delle Forze Armate provò a contrabbandare quell'azione come un atto anti-tedesco. C'è, anche in questo caso, un indizio: "se (i generali) trovano difficoltà anche a battersi contro i greci, do le mie dimissioni da italiano" - affermò Mussolini con la consueta enfasi retorica.
Adesso diventa interessante indagare il comportamento del traditore Badoglio e del genero del dittatore, il conte Galeazzo Ciano, che era titolare del dicastero degli Esteri ed era notoriamente filo-inglese. Nei verbali delle riunioni citati da De Risio, la situazione fu esposta nei seguenti termini: l'esercito greco era inferiore per numero, mezzi e addestramento alle truppe italiane schierate in Albania, la Bulgaria sarebbe entrata in guerra al fianco dell’Italia e la popolazione greca non aveva voglia di combattere. Inoltre Ciano millantava di aver corrotto generali e uomini politici greci, che - a suo dire - erano sul punto di rovesciare il governo del generale Metaxas. Bastava una spallata, insomma, per provocare il crollo del fronte interno in Grecia: per questa spallata lo stesso Visconti Prasca sosteneva di disporre di forze più che sufficienti.
Come si vede i documenti smentiscono la vulgata popolare di un colpo di testa di Mussolini, che, di punto in bianco e motivato da futili motivi, gettò gli stati maggiori in una difficile situazione in cui bisognava fare qualcosa. Al contrario, il capo del Governo prese una decisione ponderata dopo accurate discussioni con i capi dell'esercito e della diplomazia. Il problema è che quelle discussioni si basavano su informazioni false e assolutamente contrarie alla realtà. Questo, però, il capo del Governo non poteva verificarlo: poteva solo affidarsi alle informazioni fornite dal Ministero della Guerra e dal Ministero degli Esteri per trarre le necessarie conclusioni.
E Badoglio? L’impresa di Grecia, a suo dire, era "facile e opportuna": così dichiarò nella riunione del 15 ottobre, il cui verbale è citato da De Risio. Solo nel corso dell'ultimo briefing, ormai nell’imminenza dell’azione, Badoglio volle sganciarsi dalle sue responsabilità prima che fossero manifeste e fece mettere a verbale di essere contrario a quella campagna: da questo appunto nacque il mito di un Mussolini guerrafondaio e inetto al che, sordo ai consigli del saggio Badoglio, scatenò una guerra tragica e inutile.
Il 28 ottobre, dieci giorni dopo l’arrivo del primo convoglio di moderni equipaggiamenti per la 8° Armata inglese in Egitto, iniziò l'invasione della Grecia, che nel giro di pochi giorni si trasformò in una catastrofe. Lo stato maggiore italiano aveva sbagliato completamente i suoi calcoli in base ai quali 6 divisioni greche già mobilitate si opponevano a 10 italiane presenti in Albania con una netta superiorità in fatto di artiglierie e aviazione a nostro favore. Calcoli più accurati dimostrarono invece che a 15 reggimenti italiani si contrapponevano 45 reggimenti greci. Inoltre le truppe greche erano state addestrate alle moderne tecniche della guerra di fanteria da istruttori francesi e il loro equipaggiamento individuale, di importazione straniera, era migliore di quello italiano. Anche l’artiglieria greca era superiore alla nostra, mentre la superiorità aerea italiana nei mesi invernali non poté essere sfruttata adeguatamente a causa del maltempo. Ciò fu accertato dal generale Cesare Amé che aveva rilevato Carboni alla direzione del SIM da poche settimane. Amé mise tutto nero su bianco in un memorandum inviato, ahimè, troppo tardi al re, al Duce e al maresciallo Badoglio. Perché questo ritardo? Perché Badoglio aveva steso una cortina di impenetrabile silenzio tra lo stato maggiore generale e i Servizi, che ora non erano più diretti da un uomo di sua fiducia. Lo afferma lo stesso Amé e la sua testimonianza è pubblicata nel libro di De Risio. Queste informazioni erano già in possesso del SIM all'epoca della direzione di Carboni, che era un uomo di Badoglio, ma a Mussolini fu presentata una situazione diametralmente opposta e il verbale della riunione del 15 ottobre lo dimostra: ecco la prova del tradimento!
La catastrofe incombeva sul fronte greco-albanese. Urgevano rinforzi, ma non ce n’erano: poche settimane prima il solito Badoglio ci aveva messo lo zampino ordinando il congedo di trenta divisioni addestrate, che fino a quel momento si trovavano in Puglia. E’ Solange Manfredi a informarci di questa incredibile situazione. A sua volta De Risio fornisce la cifra di 300.000 soldati smobilitati. In seguito, in una lettera inviata in duplice copia a Mussolini e a re Vittorio Emanuele III, il generale Visconti Prasca usò i termini “sabotaggio” e “tradimento” per definire l'ordine di Badoglio.
Non appena si profilò il disastro giunse in Albania il generale Pricolo, all’epoca sottosegretario di stato all’Aeronautica e capo di stato maggiore della Regia Aeronautica. Egli agiva come fiduciario del Duce per raccogliere informazioni sul campo e valutare la situazione. Questo aneddoto dimostra che Mussolini non si fidava più delle informazioni e delle valutazioni degli stati maggiori. Quando poi Pricolo presentò la sua relazione, il dittatore ebbe la certezza che Ciano, Badoglio e Visconti Prasca lo avevano ingannato. Nacque così l'idea di spedire i gerarchi al fronte: il Duce voleva che vedessero con i loro occhi il tradimento, la malafede e il dilettantismo con i quali la campagna era stata preparata e condotta.
Per nascondere la negligenza e il dolo nel dopoguerra fu inventata la leggenda del Duce che dirigeva ogni aspetto della guerra compiendo per ignoranza una serie di scelte catastrofiche che i militari di professione, come Badoglio, invano avevano sconsigliato. La visita dei gerarchi al fronte fu addirittura derubricata a “gita” con scopi propagandistici: “armiamoci e partite” fu il sarcastico slogan ripetuto da generazioni di pecoroni. Le cose, come abbiamo visto, stavano in ben altri termini.
7. Scacco matto in tre mosse.
La nuova situazione venutasi a creare con l’apertura del fronte greco consentì all'Inghilterra di insediare truppe, aerei e navi a Creta e nei porti della Grecia continentale col consenso del governo ellenico: una vittoria strategica ottenuta senza nemmeno combattere, ma addirittura servita su un piatto d'argento da Ciano e Badoglio.
All'inizio del conflitto l'Ammiragliato britannico considerava Malta indifendibile e il Governo l'aveva già data per persa in partenza. Nel corso dell'estate, però, la Royal Navy era riuscita a rifornire l'isola di uomini e di mezzi trasformandola in una munita base aeronavale con la quale insidiare il nostro traffico navale verso la Libia. Tutto ciò era avvenuto sotto il naso dei nostri ammiragli, che non avevano alzato un dito per impedirlo. Un'altra vittoria strategica era stata conseguita dagli inglesi senza combattere: stavolta gli era stata regalata dall'ammiraglio Domenico Cavagnari, all'epoca sottosegretario di stato alla Marina e capo di stato maggiore della Regia Marina.
Al termine di una di queste operazioni di rifornimento dell’isola di Malta, precisamente nella notte tra 11 e il 12 novembre, una dozzina di aerei inglesi decollati dalla portaerei Illustrious sorprese la flotta italiana all'ancora nel porto di Taranto: la corazzata Cavour fu affondata e altre 3 unità gravemente danneggiate su un totale di 6 corazzate. I movimenti navali inglesi erano stati conosciuti per tempo, ma i vertici della marina si erano rifiutati di far uscire la flotta per dar battaglia e avevano atteso passivamente l'attacco inglese. Si seppe poi che, malgrado la decisione adottata, l'ammiraglio comandante della base navale non aveva preso tutte le misure previste per difendersi da un attacco aereo. La maggior parte dei palloni frenanti e delle reti parasiluri giacevano ancora nei magazzini del porto, inutilizzati. La contraerea, inspiegabilmente, oppose scarsa o nulla resistenza. Inoltre i piloti inglesi operavano a colpo sicuro malgrado le tenebre: ciascuno di loro conosceva esattamente l'ubicazione del suo bersaglio.
Dopo quella che passò alla storia come la "Taranto night" la superiorità nel Mediterraneo per un certo periodo passò dalla Regia Marina, che non aveva saputo approfittarne, alla Royal Navy. A questo punto l'opera di infiltrazione ai più alti livelli attuata dai suoi servizi aveva consentito all’Inghilterra di rovesciare a proprio vantaggio la situazione nel Mediterraneo prima ancora che una sola battaglia degna di questo nome fosse combattuta. L'Italia fascista aveva perso la guerra delle spie e il danno era irrimediabile.
Del rovescio della Fortuna fecero le spese Badoglio e l'ammiraglio Cavagnari, che furono entrambi dimissionati. Il cambio della guardia, però, arrivava troppo tardi. A partire dal 18 ottobre la 8° Armata inglese iniziava ad essere rifornita di moderni mezzi per la guerra meccanizzata, mentre in novembre i nostri convogli per l’Africa carichi di armi, munizioni e carburante venivano sistematicamente attaccati dagli aerei e dai sommergibili dislocati sull’isola di Malta.
8. La sconfitta più umiliante.
All'inizio di settembre la 10° Armata italiana era avanzata di 200 chilometri in territorio egiziano e si era fermata a Sollum per i limiti obbiettivi di un territorio privo di risorse, di strade e di porti. Per ovviare alla situazione il maresciallo Graziani ordinò di costruire una strada che congiungesse il fronte con i porti di Tobruk e Bengasi: condizione necessaria per riprendere l'offensiva. Nel frattempo continuava a sollecitare l'invio di autocarri e blindati ritenendo di avere di fronte forze nemiche soverchianti.
In realtà la situazione delle forze armate britanniche era talmente catastrofica che solo ai primi dicembre la 8° Armata fu in grado di organizzare un piccolo corpo di spedizione per compiere un raid dietro le linee italiane. Si trattava di 40.000 soldati soltanto e per di più equipaggiati in maniera incompleta: non era stato possibile fare di più. Questo, almeno, è scritto nel libro del critico militare Lidell Hart. L'aneddoto ci dice molto a proposito delle fantomatiche forze nemiche decantate per mesi e mesi da Badoglio e Carboni.
Se un’operazione su piccola scala si tramutò in una disfatta senza precedenti nella storia fu a causa degli errori di valutazione del maresciallo Graziani. A sua discolpa si può dire però che fu colto completamente di sorpresa da un attacco condotto con un tempismo così sorprendente, da risultare persino sospetto.
Dunque Graziani si accingeva a riprendere l'offensiva, ma non fece in tempo: fu anticipato di pochi giorni dagli inglesi. La sua strada, così, fu usata dalle forze corazzate e motorizzate del generale O' Connor che dilagarono nella Cirenaica italiana dopo aver aggirato le nostre posizioni nel deserto. Senza questa strada il successo inglese non avrebbe avuto una valenza strategica, ma solo locale, perché le piste del deserto non erano adatte a una penetrazione in profondità. Si può dire che Graziani, suo malgrado, offrì al nemico la vittoria su un piatto d'argento. Questa è solo la prima di una serie di fortunate coincidenza per gli inglesi.
Una volta aggirate le nostre linee, le colonne della Western Desert Force avanzarono senza bisogno di combattere: ma i soldati italiani dov'erano? Le retrovie italiane in realtà non erano presidiate perché tutte le truppe erano state avviate verso il fronte. Per altro la nuova situazione generò un caos indescrivibile, tra reparti che avanzavano per la prevista offensiva e altri che si ritiravano in base ai nuovi ordini ricevuti. Le pessime comunicazioni radio peggiorarono la situazione. Tutto si volgeva magicamente a vantaggio degli inglesi: un'altra fortunata coincidenza!
L’aviazione italiana in Libia era di tutto rispetto, ma fu annientata immediatamente e senza nemmeno avere l'opportunità di combattere. Il caso volle che gli aerei e i piloti fossero stati trasferiti dagli aeroporti della Cirenaica alle piste di atterraggio avanzate per la prevista offensiva: qui furono sorpresi dagli aerei inglesi, che distrussero al suolo tutti i velivoli. La RAF conosceva perfettamente sia l’ubicazione di queste piste sia la circostanza che gli aerei vi erano appena atterrati. Un'altra fortunata coincidenza!
Tagliati fuori dalle basi nelle retrovie, i soldati italiani abbandonarono gli avamposti nel deserto e ripiegarono, tentando di sfuggire ai posti di blocco che i soldati inglesi predisponevano per catturarli. La RAF bersagliava quotidianamente queste colonne di disperati che marciavano per lo più a piedi. Senza benzina, né munizioni, né cibo, né acqua i nostri non potevano né sfuggire all'inseguimento del nemico, né combattere e nemmeno sopravvivere nel deserto. Per questo si arrendevano in massa senza nemmeno opporre resistenza, a parte casi isolati di eroismo. Ciò accadeva perché i depositi di munizioni, di acqua, di cibo e di carburante, lasciati sguarniti nelle retrovie, erano caduti nelle mani del nemico, che ne conosceva in anticipo l'ubicazione e se ne serviva per le sue esigenze operative. L'ennesima, fortunata coincidenza per gli inglesi!
A questo punto Graziani ci mise del suo: in una situazione già critica il comandante perse la testa e diramò ordini contradditori fino al crollo completo della 10° Armata. L’offensiva nemica si esaurì a Beda Fomm nel gennaio 1941: a quel punto 130.000 soldati italiani si erano arresi quasi senza combattere, secondo la testimonianza di Lidell Hart.
Rimosso dal comando, il nostro "valoroso" condottiero osò lamentarsi che il suo esercito era una pulce travolta da un elefante. Tale impressione dovette essersi radicata nella sua mente tramite la lettura quotidiana dei bollettini del SIM predisposti dal generale Carboni tra luglio e ottobre. Era, ancora una volta, una mistificazione creata ad arte dalle quinte colonne inglesi all’interno del Comando supremo. Non aveva tutti torti Mussolini quando osservò che "è una ben strana pulce quella che dispone di 1.000 cannoni!” In realtà i documenti attestano che alla vigilia delle operazioni la 10° Armata italiana disponeva di 160.000 soldati, con una superiorità di 4 a 1 rispetto alla Western Desert Force di O' Connor. Gli italiani erano nettamente superiori nel campo dell'artiglieria, gli inglesi in quello dei mezzi blindati e le forze aeree delle due parti si equivalevano per numero di mezzi. Queste informazioni si possono trarre da De Risio sulla base della testimonianza resa dal generale Cesare Amé, che per altro coincide con la ricostruzione di Lidell Hart che si basa su fonti tedesche e inglesi.
In Africa le cose andarono come andarono per diverse ragioni, tra le quali il fatto che i piani nemici - particolareggiati in ogni minimo dettaglio - contemplavano la perfetta conoscenza del nostro schieramento e pure dei piani aggressivi del maresciallo Graziani, che fu colto, per così dire, in contropiede. Pur senza dimenticare l’attività di ricognizione aerea della RAF e la ricognizione tattica delle squadre dello SAS, pur ammettendo inoltre che Ultra possa aver captato qualche informazione è difficile non immaginare un’azione di spionaggio condotta ai massimi livelli da parte dell’Intelligent Service britannico alla base della vittoria inglese in Nord Africa nel dicembre 1940.
9. La guerra delle spie.
Dopo essere stato destituito da Mussolini (dicembre 1940) Badoglio non si accontentò certo di giocare a boccette come raccontano gli storici, ma riprese i suoi complotti per rovesciare Mussolini. Il ricercatore José Mario Cereghino ha pubblicato i cablogrammi inviati dalla stazione del SOE in Svizzera al Governo inglese con i dettagli delle trattative condotte a titolo personale da Badoglio. I documenti pubblicati abbracciano tutto il 1942 e i primi 7 mesi del 1943. E' sorprendente la differenza di toni tra Mussolini e Badoglio all'indomani delle vittorie di Gaza-Tobruk e di Sidi el Barrani che spalancarono alle forze dell'Asse le porte dell'Egitto: mentre Mussolini annunciava trionfalmente che gli italo-tedeschi inseguivano gli inglesi in rotta verso il delta del fiume Nilo, il SOE informava Churchill che Badoglio era pronto a inviare in Africa un generale di sua fiducia per organizzare un esercito con disertori italiani armato dagli inglesi col quale rovesciare il governo! (Cfr. Storia in Rete, non ricordo il numero: potete controllare voi sul sito).
L'attività informativa inglese a quanto pare si focalizzava sui convogli che dall’Italia salpavano per rifornire l’Afrika korps e la 1° Armata italiana in Libia, che era subentrata alla 10°. A questo riguardo il prefetto Guido Leto, che fu a capo dell’OVRA, affermò che dal 1940 era attiva una fonte – nome in codice: “Roberts” – che trasmetteva questi segreti agli inglesi. Le sue ricerche e quelle dell’ammiraglio Ricciardi, successore di Cavagnari, non portarono però all'identificazione di una talpa all'interno del comando superiore della marina a Roma. Quando l’intero staff dell’organizzazione fu cambiato, la fonte “Roberts” tacque, ma solo per breve tempo e come misura prudenziale. Da ciò Leto deduce che si trattasse di un personaggio altolocato che pur non trovandosi nel comando superiore della marina era a conoscenza dei suoi piani: l'unico altro organo dove questi piani erano conosciuti era lo Stato Maggiore Generale, che si trovava presso il Ministero della Guerra. Leto non fa il nome della fonte "Roberts", ma è facile capire di chi stia parlando (F. Fucci, “Le polizie di Mussolini”, Mursia).
A questo punto che sia utile ricordare che Pietro Badoglio per legge aveva diritto, in quanto maresciallo d’Italia, a un ufficio nel Ministero della Guerra: da qui, ipotizzo, egli poteva riaccogliere informazioni preziose da quegli ufficiali di stato maggiore di cui aveva favorito la carriera. A questo punto ufficiali del SIM come il generale Carboni e il colonnello Prefetti potevano fungere da corrieri per la spia Cambareri senza destare sospetti.
Per capire l’importanza di questa attività spionistica bisogna mettere in chiaro che tutte le vittorie ottenute dalla 8° Armata inglese in Africa Settentrionale furono precedute da un’azione aeronavale vigorosa e continua contro i nostri convogli, che presupponeva l’esatta conoscenza delle rotte e il contenuto dei carichi imbarcati su ciascuna nave. Ad esempio nel mese che precedette la battaglia di El Elamain molti mercantili italiani furono affondati e molti altri, pure attaccati, riuscirono a salvarsi, ma non una delle navi cisterna italiane cariche di petrolio arrivò a destinazione! Si trattava dunque di una caccia selettiva, come ammette anche Giorgerini.
Il generale Von Thoma, che fu a capo dell'Afrika Korps durante la battaglia di El Alamein, ricorda che dopo essere stato fatto prigioniero fu condotto al cospetto del generale Mongomery: invece che interrogarlo, il comandante inglese gli rivelò l'esatta consistenza e l'ubicazione di tutte le sue forze. "Sembrava che conoscesse la nostra situazione come la conoscevo io" - commentò il generale tedesco. Questa straordinaria testimonianza si trova nel libro Liddel Hart e spiega tutto, a mio avviso.
Quanto al lavoro di decriptazione dell'organizzazione Ultra, parliamo di un mito che non ha alcuna attinenza con la realtà. Infatti alcuni anni fa i documenti inglesi furono oggetto di uno studio particolareggiato da parte dell'ammiraglio Donnini, che durante la Seconda guerra mondiale fu a capo del reparto di intercettazione e decriptazione della marina: uno specialista del settore, insomma. L'ammiraglio è arrivato alla conclusione che solo una piccola percentuale dei messaggi decriptati da Ultra riguardava le operazioni nel Mediterraneo e che questi erano soprattutto messaggi della Luftwaffe. Da ciò si deduce che le autorità e il mondo accademico usano il nome di Ultra per non pronunciare quello, molto più scomodo, di tradimento.
A mio avviso i decriptatori inglesi possedevano i codici italiani trasmessi dalla fonte "Roberts" e forse anche da altre fonti. Il lavoro di decriptazione, a questo punto, poteva essere effettuato comodamente negli uffici della Royal Navy ad Alessandria d'Egitto o in quelli del Royal Army al Cairo. Se vera, questa mia ipotesi spiegherebbe le scarse perfomance di Ultra nella guerra contro l'Italia a fronte degli straordinari risultati dell'intelligence inglese nel suo complesso. Io credo che l'esito alterno delle operazioni in Africa Settentrionale e nel Mediterraneo tra il 1940 e il 1943 fu influenzato in maniera decisiva dalla capacità inglese di conoscere o meno i nostri piani, perché le spie a Roma non mancavano ma la vigilanza di diversi organi di polizia e di controspionaggio era sempre attiva e i codici delle nostre telecomunicazioni cambiavano frequentemente.
10. L' 8 settembre.
Secondo Corvisieri i preparativi del golpe badogliano vennero portati avanti nell'appartamento della spia Cambareri dal generale Carboni e dal colonnello Prefetti del SIM. Già dal 1941, quando ancora le sorti della guerra erano incerte, essi avevano predisposto un piano per catturare Mussolini. Si resta senza parole al pensiero che i vertici dei nostri servizi segreti lavorassero per rovesciare il governo d'intesa col nemico invece che essere d'ausilio alle decisioni più critiche in campo politico e militare.
Alla fine le manovre di Grandi e Ciano, notoriamente filo-inglesi, convinsero la Corona a dare via libera a un piano che Badoglio meditava già dal 1939. Il colpo di stato militare ebbe luogo il 25 luglio 1943 e fu seguito passo a passo dal SOE come dimostrano i cablogrammi pubblicati da Cereghino.
La cosa più incredibile di tutta la faccenda consiste nel fatto che, malgrado tutto, il traditore Badoglio non aveva ancora un accordo in tasca con gli Inglesi, che infatti si irrigidirono subito sulla posizione della resa incondizionata. Stendiamo un velo pietoso sulle trattative tragicomiche intraprese a suo nome da vari personaggi, l’uno all’insaputa dell’altro, per giungere a un armistizio. Ricordiamo invece che il generale Carboni riprendeva il suo posto a capo del SIM: si ricostituiva così il binomio che da 4 anni lavorava in modo indefesso per distruggere l'Asse Roma-Berlino.
I risultati non tardarono a vedersi, purtroppo. Ancora una volta Badoglio compì un drammatico errore di valutazione, ritenendo che l’annuncio dell’armistizio fosse un passo non necessario, che potesse anzi rimanere segreto per un periodo indefinito. Forse si illudeva che i Tedeschi e gli Alleati avrebbero continuato a darsele di santa ragione lasciando in pace il nostro esercito. Forse credeva di attendere comodamente fino a quando non gli fosse giunta dagli Alleati una richiesta formale di aiuto, che, se accettata, avrebbe garantito all'Italia lo status di alleata. Allora nessuno più avrebbe parlato di quella vergognosa resa senza condizioni sottoscritta a suo nome dal generale Castellano al quale, per altro, non aveva fornito nemmeno le necessarie deleghe.
Si ripeteva così quella commedia degli equivoci, nella quale Badoglio aveva già recitato durante il periodo della non belligeranza. Infatti, come abbiamo visto, dalla primavera del 1940 gli Alleati avevano brigato perché i tedeschi calassero in Italia o come alleati o come nemici. In ogni caso un "generoso" contributo di sangue da parte italiana era un elemento ineludibile dei piani decisi a Londra. Una posizione di attesa da parte italiana non fu mai contemplata da Churchill e Roosevelt. Ma da molti anni ormai Badoglio aveva sacrificato ogni considerazione morale e persino il suo intelletto alla brama smodata di potere. Egli si apprestava perciò ad assecondare di nuovo, senza comprenderli, i piani del nemico. Pertanto le vicende dell'8 settembre 1943 lo sorpresero nella stessa identica maniera di quelle del 10 giugno 1940.
Anche Carboni non aveva abbandonato i suoi antichi vizi. Per scongiurare l’aviosbarco americano aveva preparato valutazioni fantastiche sull’entità delle forze tedesche schierate nei dintorni di Roma. Si può intuire che egli agisse su direttive di Badoglio, o almeno per compiacerlo, perché il nuovo capo del governo voleva le mani libere: il previsto aviosbarco, invece, avrebbe fatalmente provocato il coinvolgimento delle truppe italiane nei combattimenti tra tedeschi e americani. In realtà le truppe e gli aerei americani, in aggiunta al corpo d’armata motocorazzato italiano schierato a difesa della capitale, sarebbero bastati per avere facilmente ragione delle truppe tedesche schierate nella zona; per tagliare fuori le truppe tedesche schierate nell’Italia meridionale; per mantenere in piedi il regio esercito a sud della linea degli Appennini, abbreviando non di poco la durata dell’occupazione tedesca della penisola. Gli Alleati però non si fecero abbindolare: compresero che Badoglio e Carboni stavano venendo meno alla parola data e si innervosirono. L'aviosbarco fu annullato, ma l'annuncio dell'armistizio fu ugualmente trasmesso via radio dagli Alleati: così Badoglio e la cricca si trovarono da soli ad affrontare la vendetta tedesca.
Per le ragioni che ho esposto, Badoglio non aveva preparato alcun piano e fu sorpreso dagli eventi. Tutti si diedero alla fuga per timore di comparire, prigionieri, al cospetto di Hitler: il re, il governo, gli stati maggiori...
Restava il solo corpo d’armata moto-corazzato, anch’esso agli ordini del generale Carboni, a difendere Roma. Posso dire senza tema di smentita che Alberto Sordi nei panni del Marchese del Grillo difese la Città Eterna con lo stesso vigore del generale Carboni! Infatti, mentre infuriava la battaglia tra italiani e tedeschi e l'esito era ancora incerto, il nostro "eroe" abbandonò il suo posto di comando per nascondersi a casa del solito Cambareri.
Molti storici hanno sostenuto che le forze tedesche nella zona erano così esigue – appena due divisioni – che la guarnigione italiana avrebbe potuto difendere con successo la capitale: ne consegue, secondo questa tesi, che la resa fu il frutto di un’intesa segreta di carattere politico. A Kesserling sarebbero stati regalati la città di Roma e la persona di Mussolini in cambio della salvezza del re, del governo e degli stati maggiori. Se questo è vero, chi poteva negoziare un simile accordo se non il generale Carboni, che era contemporaneamente a capo del SIM e del corpo d’armata motocorazzato?
In seguito le stime distorte sull’entità delle forze tedesche permisero a Carboni di accreditare la versione di una eroica difesa di Roma compiuta da pochi e coraggiosi soldati contro forze nemiche soverchianti. La solita, vecchia favola del coraggio sfortunato!
Mentre re "Sciaboletta", il traditore Badoglio e tutti i generali e gli ammiragli fuggivano a Bari nel resto d'Italia, in Francia, nei Balcani e nell'Egeo centinaia di migliaia di nostri soldati furono sorpresi e sopraffatti dai tedeschi. Non reagirono perché nessuno, da Roma, aveva dato loro istruzioni su come comportarsi: Badoglio, in quel momento, aveva altro per la testa! Finirono tutti internati nei lager tedeschi, dove furono trattati in modo disumano. Scontarono il fio, essi soltanto, per il tradimento di Badoglio e della sua cricca.
Così l'esercito italiano, che bene o male, si era battuto per Mussolini per 39 mesi, si sfaldò in pochi giorni nell'ottobre del '43. Anche di questo bisogna ringraziare il traditore Badoglio!
Postilla.
L' 8 settembre 1943 la flotta italiana si consegnava quasi intatta agli inglesi nel porto di Malta, proprio come auspicato dal governo britannico fin da giugno 1940. Curiosamente all'indomani dell'ingresso in guerra dell'Italia Churchill aveva promesso un premio a ogni comandante italiano che si fosse arreso con la sua nave. Esisteva un vero e proprio tariffario in base alla categoria di naviglio. Lo sostiene Giorgerini nel suo libro.
Quando costò la consegna dell'intera flotta italiana? Io non lo so. Bisognerebbe chiederlo all'ammiraglio Maugeri, che all'epoca era capo del Servizio Informazioni Segrete della marina e che successivamente fu decorato dal Governo americano per i servigi resi alla US Navy in tempo di guerra....
Con questo breve saggio spero di essere stato d'aiuto a quanti vogliano comprendere come perdemmo la guerra.
Enrico Montermini, 12/11/2016
Bibliografia consultata:
- Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, I libri di IF.
- Piero Baroni, La fabbrica della sconfitta, Settimo sigillo.
- Domizia Carafoli, Il Viceduce, Mursia.
- F. Castellano, P. Formiconi, Italo Balbo e le grandi manovre in Libia del 1938, Storia Militare
- Silverio Corvisieri, Il Mago dei generali, Odradek.
- Carlo De Risio, Servizi segreti generali fascismo, Mondadori.
- Franco Fucci, Le polizie di Mussolini, Mursia.
- Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare, Mondadori.
- Basil Liddel Hart, Storia di una sconfitta, Bur.
- Solange Manfredi, Psyops.
Commenti
Posta un commento