GLI ATTENTATI IN SPAGNA E L'OMBRA DEI POTERI FORTI di Enrico Montermini

Il terrorismo ha colpito nuovamente. Il primo bilancio parla di quattordici morti – tra cui due italiani – e cento feriti a Barcellona. Un secondo attentato è stato sventato dalla polizia catalana nel cuore della notte nella cittadina di Cambrilis, vicino a Terracona: quattro terroristi e un poliziotto hanno perso la vita. Le cifre che ho presentato sono ancora provvisorie, perciò il bilancio della tragedia potrebbe salire nelle prossime ore.
Quali obbiettivi si proponevano i terroristi? Per rispondere bisogna mettere da parte i dati che ci offrono i mezzi di informazione, perché l’informazione è manipolata: occorre invece domandarsi – come faceva Cicerone – a chi giova tutto ciò.


Qui prodest?
L’8 giugno scorso il presidente catalano Carles Puigdemont Casamajo annunciò per il 1 ottobre un referendum per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. La reazione del Governo di Madrid fu immediata e durissima: “il primo ottobre non si celebrerà un referendum illegale che va contro la Costituzione. Che nessuno dubiti che ogni eventuale passaggio all’azione sarà perseguito dal governo” affermò il portavoce Inigo Mendez de Vigo. Già il 27 maggio il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy nel corso di una visita in Catalogna aveva avvisato gli indipendentisti: “Fino a quando sarò presidente del governo, questo referendum non si farà”. Se questa non era una dichiarazione di guerra, poco ci mancava.


La situazione è seria: secondo un sondaggio il 44,3% dei catalani è favorevole all’indipendenza, il 48,5% è contrario, ma più del 73% desidera potersi pronunciare. La classe dirigente spagnola finora ha fatto orecchie da mercante. La posizione più intransigente, storicamente, è sempre stata quella del Partito Popolare, dalle cui fila proviene il premier Rajoy.
Annunciando il ricorso alla consultazione popolare Casamajo minacciava di scavalcare la monarchia, il governo e il parlamento. In altre parole Rajoy e l’intera classe dirigente spagnola erano in scacco. Gli attentati terroristici hanno però cambiato le carte in tavola.


La macchina della propaganda marcia  già a pieno regime. Oggi a Barcellona si manifesta contro il terrorismo che vuole dividere il popolo spagnolo con la paura. “Non abbiamo paura” grida in coro la folla davanti al presidente Rajoy. Lo grida in catalano, non spagnolo, sia detto per inciso.
Ora Rajoy tenterà di legittimarsi come l'uomo forte. Non c’è dubbio che il premier ha guadagnato il centro della scena mediatica con i suoi appelli all’unità e il ricordo della lotta che la Spagna conduce da trent’anni contro il terrorismo: una sottile allusione al terrorismo separatista basco. Messaggi di solidarietà sono arrivati al suo governo, come c'era da attendersi, da tutto il mondo.
C'è da giurarci che Casamajo e la sua giunta saranno invece screditati dalla stampa, perché non hanno saputo proteggere i cittadini. “El Pais”, quotidiano di Madrid, ha già dato fuoco alle polveri parlando di negligenze della polizia catalana di fronte a precise istruzioni in tema di sicurezza provenienti dal Ministero degli Interni.
Di referendum non si parla più: il tema è sparito dall’agenda politica. Intanto l’esercito e la gendarmeria, che rispondono al re, stanno procedendo all’occupazione militare della regione ribelle. Il clamore degli attentati ha coperto un'operazione dal significato politico troppo delicato per passare sotto silenzio. L'occupazione del territorio manu militari viene descritto dai media con espressioni come "misure di sicurezza eccezionali".
Si comprende finalmente la logica di questi attentati, che si potrebbe riassumere nelle seguenti parole: “la guerra è la continuazione della politica su nuove basi”. Questo non è un versetto del Corano insegnato nelle madrasse afgane, ma una massima insegnata nelle accademie militari dei Paesi occidentali. Già, perché nell’ultimo secolo ogni qual volta l’oligarchia al potere in un Paese non è più in grado di resistere al vento di cambiamento che spira nella società, la parola passa all’intelligence militare, che è parte integrante delle Forze Armate.
Questo è il doloroso insegnamento che i catalani possono trarre dai tragici eventi di questi giorni. Questa è anche la lezione che noi italiani possiamo trarre dalla nostra storia, dai fatti della “strategia della tensione”. Se la politica è in scacco, intervengono i servizi: chiaro?




La mano invisibile dei poteri forti
L’uomo dei poteri forti in Spagna si chiama José Maria Aznar: ex presidente del consiglio ed ex leader del Partito Popolare. Costui già il 27 febbraio aveva duramente attaccato il collega Rajoy affermando di non vedere “un progetto ambizioso per la Spagna” ma solo il suo desiderio di rimanere al potere. A suo dire urgerebbero le riforme del lavoro, dell’istruzione e delle pensioni. Riforme che, evidentemente, sono pretese dalla tecnocrazia dell’Unione Europea, dai mercati finanziari e dal Vaticano. Riforme che hanno un costo che qualcuno deve pagare. Porre fine alle autonomie locali significa garantire considerevoli entrate al governo centrale. Da questo punto di vista la Catalogna fa gola, perché è la regione più ricca della Spagna. Non a caso Aznar è il più acerrimo nemico dell’indipendentismo catalano.

Definendo come “rottura” l’azione degli indipendentisti, Aznar aveva ricordato che lo stato di diritto si applica "dove è necessario" e avvertiva che "il peggio è che l'illegittimità finisce per essere la norma" nella comunità catalana. A suo avviso la Catalogna "non può fare più danni in meno tempo" e suggeriva, "se necessario", di applicare l'articolo 155 della Costituzione per sospendere lo statuto di autonomia di cui gode la regione. Questo articolo, ricordava Aznar, prevede che il governo con la maggioranza assoluta del Senato può costringere la comunità che non ha adempiuto alla legge ad adempierla.
Che Aznar sia al centro della strategia degli attentati è qualcosa di più di un semplice sospetto. Quand’era presidente del consiglio egli interruppe il processo di pace in corso con l’ETA: le rivendicazioni dei baschi e dei catalani non erano più una questione politica, erano di nuovo un semplice problema di ordine pubblico da risolversi col pugno duro, proprio come ai tempi della dittatura del generale Franco.
Alla vigilia delle elezioni del 2004 Al-Quaeda fece esplodere quattro treni a Madrid, provocando cento quarantuno morti e mille feriti. Aznar si affrettò a gettare la colpa sui terroristi dell’ETA: “La tentazione di sfruttare la situazione per ottenere un vantaggio politico si è dimostrata irresistibile per alcuni” ammise in seguito. Poche ore dopo gli attentati il ministro degli Esteri Ana Palacio diramò una circolare a tutte le ambasciate estere, chiedendo di sostenere senza dubbio la responsabilità del terrorismo basco. Già in serata, però, tutta la Spagna sapeva del tentativo di manipolazione operato dal governo uscente in seguito all’emergere di nuovi elementi di indagine: la scoperta di sette detonatori e di un nastro con i versi del Corano in un furgone non lontano da Madrid. L’opinione pubblica rimase scandalizzata e offesa: il Partito Popolare subì una clamorosa sconfitta elettorale.
Ammaestrato dagli errori del passato, Aznar si è nascosto dietro Rajoy e opera come eminenza grigia della strategia della tensione. Questa volta i fondamentalisti islamici sono stati immediatamente accusati degli attentati. Addirittura la foto e le generalità di un presunto attentatore circolavano su tutte le televisioni pochi minuti dopo la strage di Barcellona. Che tempismo!
La manipolazione dell’informazione, che nel 2004 fallì, opera invece in modo perfetto in questo momento.

L’ombra del Vaticano

Herman Van Rompoy, presidente della Commissione Europea, nel 2012 e nel 2013 accennò in più occasioni all’esistenza di una “internazionale gesuita” che governa l'Europa. Stando alle sue stesse parole, della "internazionale" fanno parte lui, Mario Draghi, Mario Monti e Mariano Rajoy. Van Rompuy non lo dice, ma a capo di questa “internazionale” c’è, ovviamente, papa Francesco.
Rajoy, lo abbiamo già detto, è il primo ministro spagnolo ed è il leader del Partito Popolare. Il problema è che questo partito è il braccio politico dell’Opus Dei. Mettere un uomo dei Gesuiti a capo del PP è stato un vero e proprio golpe, tenuto conto che i due ordini sono acerrimi nemici. Ora si comprende perché Aznar opera alle spalle di Rajoy e contro di lui. La partita che si sta giocando tra i seguaci di Ignacio di Loyola e i seguaci di Josemaría Escrivá de Balaguer è una lotta dalla quale dipende il futuro della Spagna. Per capire i termini della questione dobbiamo parlare un po’ di Gesuiti e di Opus Dei.

La tradizione della Compagnia di Gesù potrebbe essere rappresentata con le fattezze di Giano bifronte. I seguaci di Ignacio di Loyola erano ben introdotti nelle corti cattoliche: confessavano re e regine, si occupavano dell’educazione dei loro figli e dei giovani rampolli dell’aristocrazia. Controllavano la cultura e la censura ed erano a capo della macchina della Santa Inquisizione. Nel Vecchio Continente essi agivano perciò in perfetta simbiosi col potere. Nel Nuovo Mondo, al contrario, si dedicavano anima e cuore all’evangelizzazione degli indios e alla cura dei poveri e dei diseredati. È questa doppiezza gesuitica che ha partorito papa Francesco, che è uno dei principali promotori del Nuovo Ordine Mondiale. Non esiste contraddizione più grande di un papa uscito dalle favelas di Buenas Aires che lavora per una società multietnica e multiculturale assieme a Soros, l’agente di Goldman Sachs.
L’Opus Dei è invece la più reazionaria delle organizzazioni del Vaticano. Nato alla vigilia della guerra civile spagnola, l'Ordine fece propri i valori del cattolicesimo spagnolo –  e cioè la lotta senza quartiere contro tutto ciò che non è spagnolo e non è cattolico – e li adattò al clima anticomunista e antimassonico dell'epoca. Ancor più della Compagnia di Gesù, l'Opus Dei combatté in prima linea il comunismo durante la guerra fredda. Nell'America Latina collaborò con la CIA a consolidare le dittature militari. Nessun'altra istituzione religiosa fu più zelante nella raccolta di finanziamenti a favore di Solidarnosc, allorché Giovanni Paolo II decise di destabilizzare la "sua" Polonia. La dottrina sociale dell'Opus Dei promuove una società rigidamente divisa in classi e l'obbedienza assoluta al principio di autorità: perciò appena sorsero i circoli "neocon" l'intesa fu reciproca, immediata e spontanea. Non a caso l’Ordine sostenne all’interno del Vaticano le ragioni della guerra al Terrore promossa da George W. Bush. Personalmente ritengo che per forza di cose si siano stabilite delle connessioni tra certi settori della CIA e l'Ordine nel corso di tanti anni di battaglie comuni anche se ciò è molto difficile da provare.

L'Opus Dei opera nel mondo profano reclutando seguaci in tutti gli strati sociali. Gli adepti più istruiti vengono sistemati capillarmente nelle istituzioni politiche, nelle banche e nelle università attraverso metodi di cooptazione non diversi da quelli della massoneria. La setta incamera i patrimoni dei ricchi e pretende che i poveri contribuiscano con il proprio lavoro: un lavoro duro e non retribuito. E' così che si è costituito l'enorme patrimonio finanziario dell'Ordine. L'Opus Dei fonda il suo potere su questi due pilastri: la ricchezza da una parte; l'obbedienza assoluta e la segretezza dall'altra. Ciò vale per la Spagna più che per ogni altro Paese, proprio perché fu il suo Paese d'origine.

Quando il generale Franco mise da parte i politici della Falange e i loro propositi rivoluzionari, l'Opus Dei gli offrì molti di quei tecnocrati reazionari di cui aveva bisogno per governare la Spagna. I militari persero a poco a poco il potere e si ridussero infine a montare la guardia all'impero finanziario dell'Ordine. Quando il Vaticano decise di archiviare l'esperimento franchista furono Escrivà e il suo successore, Alvaro De Portillo, a guidare, da dietro le quinte, la transizione alla democrazia. Completato questo processo pacifico, la Spagna aprì le porte agli investitori stranieri. Un fiume di denaro si riversò allora nell'economia spagnola e molti agenti dell'Ordine furono tra gli intermediari di questi investimenti. Fu in quel momento che l'Opus Dei creò dal nulla il Partito Popolare.


Negli ultimi cinquant'anni l'Opus Dei ha valicato i confini della Spagna, che è un po' il suo feudo, ed è diventata un'organizzazione mondiale. Oggi è così potente da preoccupare le alte gerarchie vaticane: per questo esse hanno scaricato Benedetto XVI, considerato troppo debole, e si sono rivolte proprio alla Compagnia di Gesù per darsi un nuovo papa.
I Gesuiti, in quanto cani da guardia del potere papale, hanno sempre considerato le nuove organizzazioni e le nuove dottrine che sorgevano all’interno della Chiesa come potenziali minacce: perciò sono sempre stati i più duri avversari dell’Opus Dei. Padre Lodochòwski, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, definì l'organizzazione avversaria "massoneria bianca". Escrivà e De Portillo si vendicarono molti anni più tardi, quando riuscirono a convincere Giovanni Paolo II a condannare la teologia della liberazione, che era sostenuta proprio da taluni ambienti gesuiti. I termini della condanna furono precisati dall'allora cardinale Ratrzinger a nome del papa polacco. I seguaci di Loyola e quelli Escrivà sono divisi da un muro di incomprensione e di incomunicabilità, perché rappresentano gli estremi opposti del clero cattolico: liberali all'eccesso i primi, furiosamente reazionari i secondi.

Se la Spagna è oggi destabilizzata dalla crisi economica, dal terrorismo jihadista e dal referendum catalano, una delle ragioni va ricercata nella lotta di potere che si combatte in segreto dentro le mura del Vaticano. Con questo non voglio certamente dire che la Santa Sede sia responsabile degli attentati terroristici, ma ricordare una serie di fatti che spiegano la debolezza e la vulnerabilità in cui versa il governo spagnolo.
Se in Europa spadroneggia la "internazionale gesuita", in Spagna il potere è in gran parte nella mani dell'Opus Dei.
Dietro ad Aznar c’è tutta la forza dell'Opus Dei: per questo l’ho definito l’uomo dei poteri forti. Riuscirà a prevalere su Rajoy, l'uomo della "internazionale gesuita"?




Enrico Montermini, 18/08/2017


#attentatobarcellona #attentatispagna #terrorismoislamico #gesuiti #opusdei #complotto #referendumcatalogna


Commenti

  1. J.Maria Aznar, oltre che Opus Dei, è affiliato a UrLodge Hathor Pentalpha, sempre su posizioni ultra conservatrici.
    Come dire dalla c.d. Massoneria bianca a quella nera. Il Giano bifronte è di molti personaggi pubblici, soprattutto politici. Applicano il gioco degli specchi. È un continuo sovrapporsi di pensieri, azioni e comportamenti tali da rendere incomprensibile ciò che realmente pensano.

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    1. Esatto. L'inganno ruota sul perno della partecipazione di uno stesso personaggio a più partiti, più associazioni, più ordini segreti... E' un intreccio senza fine e infatti non se ne viene a capo. Il "gioco degli specchi": definizione appropriata.

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  2. Ma entrambi vogliono il NUOVO ORDINE MONDIALE... che differenza c'è?

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  3. http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=53779
    E' un articolo che si riallaccia al suo discorso, riferito al Vaticano e ai Gesuiti, sul rapporto che ne da una definizione particolare.
    Sarei interessato ad un suo parere.
    Distintamente... Orazio

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    1. Ho letto l'articolo che mi ha segnalato. Devo fare i complimenti, come spesso mi capita, a Francesco Lamendola perché ha messo, a mio avviso, tutti i puntini sulle "i". O quasi. Manca solo un tassello: non è stato compreso fino in fondo il ruolo di Bergoglio come agente di quelle centrali finanziarie e culturali ebraiche che in questo momento dominano il mondo e dettano l'agenda del NWO. L'attuale papa si sta seriamente impegnando a portare la Chiesa verso un Concilio Vaticano III, che sancirà la fine della Chiesa cattolica come l'abbiamo conosciuta in questi duemila anni. Prima però deve sostituire tutta la corte e circondarsi di uomini di sua fiducia. In questo senso è già stato fatto molto, ma il lavoro politico preliminare non è ancora terminato l'opposizione resta fortissima tra le alte gerarchie vaticane.

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