LONDRA E IL POTERE MONDIALE: APPUNTI
di Enrico Montermini
Visto che tanti giovani fuggono a
Londra in cerca di opportunità che in Italia non hanno, mi sembra interessante
comprendere perché questo accade. Il seguente articolo però non sarà un mantra sulle
endemiche criticità della società italiana, ma un’obbiettiva osservazione di
come l’Inghilterra abbia saputo mantenere una sua sovranità nazionale e persino
un ruolo di grande potenza.
Il cane da guardia del grande capitale
La geopolitica mondiale si può sintetizzare
in una semplice domanda: chi possiede l’oro e chi monta la guardia alla cassa?
La risposta è di una semplicità disarmante: l’oro è nelle mani di chi controlla i grandi fondi di investimento, cioè poche grandi famiglie di banchieri ebrei e i loro
agenti (sia ebrei sia gentili); chi monta la guardia al forziere sono le
grandi potenze. Tra queste c’è la Gran Bretagna. Nel mio libro Mussolini e gli Illuminati osservai che
la Corona inglese per secoli ha controllato i commerci mondiali grazie alla Royal Navy e a una catena ininterrotta
di basi che dominavano i punti obbligati delle rotte marittime, i choke points: Gibilterra, Malta, Cipro, Suez,
Aden, Città del Capo, Singapore, Hong Kong, le isole Falkland e i Caraibi.
Oggi il mondo è profondamente
cambiato. L’Occidente armato fino ai denti ha dato alla luce la società
post-industriale: un’economia parassitaria che esporta servizi finanziari, tecnologie e petrolio alle nuove economie industrializzate di Cina, India e Brasile, nelle
quali miliardi di schiavi lavorano per un tozzo di pane producendo ciò che
serve al nostro benessere. Pochi Paesi al mondo hanno saputo adattarsi a queste
trasformazioni meglio dell’Inghilterra.
Oggi non è più importante dominare le rotte commerciali, ma i flussi finanziari. La Corona inglese presidia appunto questi flussi attraverso una catena di basi che non sono
militari o commerciali, ma finanziarie. Queste basi sono i cosiddetti paradisi fiscali, dove avviene il riciclaggio del denaro sporco. I punti di passaggio di questi patrimoni sono l'isola britannica di Man, le colonie inglesi delle Isole Caiman, delle Isole Vergini, di Saint Lucia e di Gibilterra, le ex colonie di Malta, Singapore e Hong Kong… E' palese che gli attori di questo processo siano gli stessi che operavano al tempo della regina Vittoria: la finanza sionista e la Corona inglese.
Geopolitica della Brexit
L’Inghilterra è entrata nell’Unione
Europea offrendo ai partner europei il suo unico asset, i servizi finanziari della City, che promettevano di attirare
capitali da tutto il mondo. Ciò che è accaduto è stato esattamente il
contrario: la City ha drenato ingenti
capitali dal mercato europeo e li ha trasferiti nei paradisi finanziari, facendoli
letteralmente sparire nel nulla. L’Inghilterra è stata il cavallo di troia
delle grandi multinazionali, che volevano fare business nel ricco mercato
europeo eludendo la fiscalità dei Paesi membri dell’Unione. Il recente scandalo
dei Panama papers ha portato alla
luce un giro molto più grande, che arriva fino al piccolo industriale in
Brianza, al politico romano e al camorrista napoletano.
La strategia britannica è fatalmente entrata
in rotta di collisione con gli interessi della Germania, la potenza finanziaria egemone del mercato europeo. La moneta unica e le regole di Mastricht hanno annientato la concorrenza dei produttori italiani e francesi in Europa e nel mondo a vantaggio dei produttori tedeschi. Hanno attirato enormi capitali in Germania, che sostengono il walfare, i consumi interni e gli investimenti di cui le industrie tedesche hanno bisogno per mantenersi competitive. In pratica l'intero meccanismo dell'UE funziona a esclusivo vantaggio degli interessi tedeschi, ma è minacciato dalla rete dei paradisi fiscali organizzata dalla City che sottrae risorse al mercato interno europeo accelerando il processo di asfissia che è già sotto gli occhi di tutti. Affinché il sistema dell'UE non imploda, Berlino sta tentando di blindarlo in ogni modo e la Francia, tirata in mezzo in questa disputa, si è dovuta piegare
ai suoi dicktat. Così la Germania ha chiesto e ottenuto l’apertura di un’inchiesta della Commissione Europea sul
ruolo dei paradisi fiscali nell’elusione delle tasse, nel riciclaggio del
denaro sporco e nel favoreggiamento della criminalità organizzata: è in quel preciso momento che in Inghilterra si è cominciato a discutere di Brexit.
Il referendum inglese è stato pilotato con abilità verso un esito scontato, con una parte della classe politica che si dichiarava a favore e un'altra che fingeva di essere contro quando in realtà il dado era già tratto. L'Inghilterra in tutta la sua storia non ha mai accettato la supremazia tedesca sul continente europeo e non sarà mai disposta a subirne le conseguenze. Questa è la ragione dell'uscita del Paese dall'Unione Europea. Ora Berlino mira a far pagare al Regno Unito il prezzo più alto possibile per la sua scelta per intimidire quei Paesi che, presto o tardi, tenteranno si svincolarsi dal suo claustrofobico abbraccio imitando l'esempio inglese.
Queste tensioni hanno bloccato i lavori della Commissione, che dopo un anno ancora non osa pubblicare la black list dei paradisi fiscali, che avrebbe l'effetto di una dichiarazione di guerra dell'Unione Europea al Regno Unito. Se Berlino freme e schiuma di rabbia per questi ritardi, da Londra agitano ipocritamente il ramoscello d'ulivo, promettendo che non ci saranno ritorsioni contro i cittadini comunitari residenti nel Regno Unito. Come si vede a nessuno conviene tirare troppo la corda.
In realtà se la lista è un'arma nelle mani della Merkel nell'ambito dei negoziati per la Brexit, essa potrebbe anche trasformarsi in un boomerang dalle conseguenze imprevedibili. Qualora la Germania non abbassi le sue pretese, la Corona inglese, attraverso la figura di paglia di Teresa May, ha minacciato una hard Brexit e cioè un atto unilaterale che avrebbe come conseguenza il ripudio di tutti i trattati in vigore. Il primo effetto sarebbe la totale de-regolamentazione del settore finanziario e norme sul segreto bancario ancora più rigide, che farebbero dello steso Regno Unito un Paese off shore al 100%. Esso diventerebbe il forziere dell'Europa, nel quale sarebbero trasferite, con pochi click, le ricchezze che in questo momento la City ha occultato ai quattro angoli del globo. In questo caso le banche europee riuscirebbero a frenare l'emorragia di capitali, già oggi copiosa, che dissangua il Vecchio continente?
Un colpo altrettanto duro lo riceverebbero le industrie tedesche, francesi e italiane, che perderebbero il mercato britannico a vantaggio dei produttori americani e giapponesi. Queste ragioni consigliano a tutti gli attori internazionali la via di una soft Brexit, che significherebbe il mantenimento puro e semplice dello status quo e quindi la legittimazione del connubio tra finanza d'assalto, corruzione politica e criminalità organizzata di cui i rispettabili colletti bianchi della City tirano le fila. In questo caso l'Inghilterra conserverebbe tutti i vantaggi di cui già godeva all'interno dell'UE senza pagarne più il costo: 13 miliardi di euro all'anno di contributi comunitari. Risulta chiaro che Londra distribuisce le carte nel grande gioco della politica europea: proprio come nel 1914, nel 1939 e nel 1989.
Il referendum inglese è stato pilotato con abilità verso un esito scontato, con una parte della classe politica che si dichiarava a favore e un'altra che fingeva di essere contro quando in realtà il dado era già tratto. L'Inghilterra in tutta la sua storia non ha mai accettato la supremazia tedesca sul continente europeo e non sarà mai disposta a subirne le conseguenze. Questa è la ragione dell'uscita del Paese dall'Unione Europea. Ora Berlino mira a far pagare al Regno Unito il prezzo più alto possibile per la sua scelta per intimidire quei Paesi che, presto o tardi, tenteranno si svincolarsi dal suo claustrofobico abbraccio imitando l'esempio inglese.
Queste tensioni hanno bloccato i lavori della Commissione, che dopo un anno ancora non osa pubblicare la black list dei paradisi fiscali, che avrebbe l'effetto di una dichiarazione di guerra dell'Unione Europea al Regno Unito. Se Berlino freme e schiuma di rabbia per questi ritardi, da Londra agitano ipocritamente il ramoscello d'ulivo, promettendo che non ci saranno ritorsioni contro i cittadini comunitari residenti nel Regno Unito. Come si vede a nessuno conviene tirare troppo la corda.
In realtà se la lista è un'arma nelle mani della Merkel nell'ambito dei negoziati per la Brexit, essa potrebbe anche trasformarsi in un boomerang dalle conseguenze imprevedibili. Qualora la Germania non abbassi le sue pretese, la Corona inglese, attraverso la figura di paglia di Teresa May, ha minacciato una hard Brexit e cioè un atto unilaterale che avrebbe come conseguenza il ripudio di tutti i trattati in vigore. Il primo effetto sarebbe la totale de-regolamentazione del settore finanziario e norme sul segreto bancario ancora più rigide, che farebbero dello steso Regno Unito un Paese off shore al 100%. Esso diventerebbe il forziere dell'Europa, nel quale sarebbero trasferite, con pochi click, le ricchezze che in questo momento la City ha occultato ai quattro angoli del globo. In questo caso le banche europee riuscirebbero a frenare l'emorragia di capitali, già oggi copiosa, che dissangua il Vecchio continente?
Un colpo altrettanto duro lo riceverebbero le industrie tedesche, francesi e italiane, che perderebbero il mercato britannico a vantaggio dei produttori americani e giapponesi. Queste ragioni consigliano a tutti gli attori internazionali la via di una soft Brexit, che significherebbe il mantenimento puro e semplice dello status quo e quindi la legittimazione del connubio tra finanza d'assalto, corruzione politica e criminalità organizzata di cui i rispettabili colletti bianchi della City tirano le fila. In questo caso l'Inghilterra conserverebbe tutti i vantaggi di cui già godeva all'interno dell'UE senza pagarne più il costo: 13 miliardi di euro all'anno di contributi comunitari. Risulta chiaro che Londra distribuisce le carte nel grande gioco della politica europea: proprio come nel 1914, nel 1939 e nel 1989.
Difendere la sovranità nazionale
Non date retta a chi paventa la fuga delle multinazionali e delle banche come conseguenza della Brexit: la finanza sionista è, come sempre, alleata della Corona e una maggiore de-regolamentazione del mondo bancario anglosassone è nel suo interesse. I fatti recenti vanno quindi
interpretati alla luce di una lunga tradizione, che vede la nazione inglese
alleata della grande finanza. L’Inghilterra è quindi un soggetto
politico attivo della Storia: il contrario dell’Italia.
La famiglia Savoia e la classe politica italiana – anche quella odierna – sono sempre stati servitori, non alleati, dell’Alta banca. In alcune occasioni sono emersi personaggi di grande spessore, che hanno rivendicato un ruolo più attivo per l’Italia, ma si sono spinti troppo oltre, diventando una minaccia per il potere finanziario internazionale: parlo Mussolini, Mattei, Moro e Craxi. Quando questo è avvenuto l’Inghilterra è sempre intervenuta contro l’Italia proteggendo i propri interessi assieme a quelli del grande capitale. La finanza sionista ha dato alla Corona inglese e alla classe politica anglo-giudaica le risorse per dominare politicamente, economicamente, militarmente e persino psicologicamente il popolo italiano.
La famiglia Savoia e la classe politica italiana – anche quella odierna – sono sempre stati servitori, non alleati, dell’Alta banca. In alcune occasioni sono emersi personaggi di grande spessore, che hanno rivendicato un ruolo più attivo per l’Italia, ma si sono spinti troppo oltre, diventando una minaccia per il potere finanziario internazionale: parlo Mussolini, Mattei, Moro e Craxi. Quando questo è avvenuto l’Inghilterra è sempre intervenuta contro l’Italia proteggendo i propri interessi assieme a quelli del grande capitale. La finanza sionista ha dato alla Corona inglese e alla classe politica anglo-giudaica le risorse per dominare politicamente, economicamente, militarmente e persino psicologicamente il popolo italiano.
La classe politica nostrana
dovrebbe prendere esempio dall'esperienza inglese e rivendicare per il nostro Paese il ruolo di soggetto attivo della politica internazionale,
intervenendo per difendere gli interessi nazionali assieme a quelli del grande
capitale senza farsi tirare a rimorchio, come un mulo recalcitrante, da Paesi terzi. I mezzi per farlo non mancherebbero, perché l’Italia è più
industrializzata della Gran Bretagna e perché si trova in una posizione geografica tale da consentirle di dominare le rotte del petrolio, se solo ci fosse la volontà politica di farlo. Purtroppo siamo tutti in balia di governanti che sono non solo corrotti (la politica è sempre sporca), ma sono soprattutto privi del senso delle istituzioni e persino della dignità; e quindi
facilmente comprabili e ricattabili. Quante volte nel corso dei secoli la nostra classe dirigente ha svenduto il popolo italiano allo straniero invasore per salvaguardare meschini privilegi di casta senza mai alzare il naso oltre i ristretti confini della Penisola? Invece a Londra sanno pensare in grande, bisogna ammetterlo.
Oggi assistiamo impotenti a una situazione paradossale: i nostri giovani emigrano da un Paese altamente industrializzato per cercare lavoro in un Paese che non produce nulla. Mi rode il fegato pensare che i nostri ragazzi neolaureati fanno i camerieri nei pub e nei ristoranti, servendo i giovani laureati inglesi che lavorano negli uffici della City. E cosa si fa in questi uffici? Si ricicla il denaro che gli industriali italiani hanno evaso al fisco, le bustarelle che hanno intascato i politici italiani, i proventi del narcotraffico gestito dalla mafia. Industriali, politici e mafiosi: questa è la classe politica che ci governa reclamando lacrime e sangue perché "ce lo chiede l'Europa" e "ce lo chiedono i mercati". Da Londra siamo partiti e in Italia siamo arrivati: così il cerchio si chiude.
Forse aveva ragione Mussolini quando affermava che gli inglesi sono una dura razza di padroni mentre "gli italiani rimarranno sempre povera gente… non bastano venti anni di fascismo, ce ne vogliono 200 o forse 20 secoli!".
Oggi assistiamo impotenti a una situazione paradossale: i nostri giovani emigrano da un Paese altamente industrializzato per cercare lavoro in un Paese che non produce nulla. Mi rode il fegato pensare che i nostri ragazzi neolaureati fanno i camerieri nei pub e nei ristoranti, servendo i giovani laureati inglesi che lavorano negli uffici della City. E cosa si fa in questi uffici? Si ricicla il denaro che gli industriali italiani hanno evaso al fisco, le bustarelle che hanno intascato i politici italiani, i proventi del narcotraffico gestito dalla mafia. Industriali, politici e mafiosi: questa è la classe politica che ci governa reclamando lacrime e sangue perché "ce lo chiede l'Europa" e "ce lo chiedono i mercati". Da Londra siamo partiti e in Italia siamo arrivati: così il cerchio si chiude.
Forse aveva ragione Mussolini quando affermava che gli inglesi sono una dura razza di padroni mentre "gli italiani rimarranno sempre povera gente… non bastano venti anni di fascismo, ce ne vogliono 200 o forse 20 secoli!".
Enrico Montermini 13.11.2017
#GranBretagna#brexit#finanza#ebrei#Panamapapers#paradisifiscali#offshore#banche#Inghilterra#Germania
Ottimo, veramente ottimo.
RispondiEliminagrazie
EliminaDio stramaledica gli inglesi frase storica del ventennio ,lei sa montermini che cos'e' il signoraggio? Visto che lo sa ,sa anche che questi ebrei banchieri creano dal nulla il denaro .Comunque non tutti vanno dalla perfide Albione ,anzi vanno dall'altra parte del globo proprio per non vederli sti ubriaconi che hanno solo I soldi nel cervello ,sawadee kap
RispondiEliminaUna politica fiscale meno punitiva verso chi ha mantenuto le sue posizioni economiche in Italia potrebbe esser un buon inizio...insieme alla diminuzione della rendita parassitaria burocratica dello stato centrale ( e periferico ). Utopia...sono catene che servono al potere.
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