GERUSALEMME CAPITALE DI ISRAELE

di Enrico Montermini

Alla fine è giunto l’annuncio tanto atteso o temuto: gli Stati Uniti trasferiranno la loro ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. L’ha promesso il presidente Trump. Così gli Stati Uniti riconoscono unilateralmente Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele malgrado la risoluzione N.  242 approvata dall’ONU il 22 novembre 1967 ordini a Israele di ritirarsi dai territori occupati con la Guerra dei Sei giorni (tra i quali la stessa città di Gerusalemme). Questo fatto segue di poco tempo (12 ottobre) la decisione congiunta di Israele e Stati Uniti di abbandonare l’UNESCO in polemica col presunto atteggiamento antisemita dell'organizzazione. Si tratta dunque di una precisa strategia di destabilizzazione dell’ONU, il cui significato è facile da comprendere.

Voglio precisare che gli Stati Uniti avrebbero potuto semplicemente cambiare le targhette agli ingressi dell’Ambasciata di Tel Aviv e del Consolato di Gerusalemme senza sollevare troppo clamore: optando invece per un annuncio pubblico, Trump ha dato al suo atto un valore simbolico che si presta a più interpretazioni. Per gli arabi si tratta di una deliberata provocazione. Per il premier Netanyahu di una garanzia in bianco degli Stati Uniti allo Stato di Israele. Per il resto del mondo della risposta americana a un atto di guerra israeliano: il bombardamento di una base iraniana vicino a Damasco (2 dicembre). Un dato però è incontrovertibile: la risoluzione N. 242, giusta o sbagliata che fosse, segnava per lo meno un punto di partenza ineludibile per i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. Ora quella risoluzione è stata cancellata senza che esista nemmeno una bozza di intesa pacifica tra le parti in causa. Già in precedenza, però, era scattato un campanello di allarme: 13 ottobre Trump aveva messo in discussione l’accordo sul nucleare iraniano; e se questo salta, allora ogni accordo in Medio Oriente è carta straccia. Se il diritto internazionale non vale nulla, allora ciascuno è libero di far valere le proprie ragioni con ogni mezzo ritenga necessario.

Difficile pensare che il governo israeliano non approfitti delle garanzie americane per tentare di risolvere con la guerra i suoi problemi geopolitici: i palestinesi, Hezbollah in Libano, Assad in Siria, l’Iran. Da dieci anni i militari israeliani preparano piani e si procurano i mezzi per il giorno del redde rationem con i suoi nemici. Il problema è che Putin ha tracciato una linea rossa: con l’intervento diretto in Siria e la vendita di armi all’Egitto e all’Iran egli ha mostrato al mondo che la Russia è pronta a combattere per proteggere i suoi alleati regionali.

La Storia ci insegna che quando una superpotenza incoraggia il nazionalismo e l’imperialismo di una potenza emergente con la presunzione di servirsene per i suoi fini, le cose sono sempre finite male. Molto male. Nel 1935 sir Baldwin negoziò in segreto un trattato navale con la Germania di Hitler, che già aveva iniziato a riarmarsi in terra (dal 1933) e in cielo (dal 1934). Così la Gran Bretagna legittimò il riarmo tedesco, che veniva attuato in violazione di trattati internazionali che, per quanto iniqui, avevano perlomeno vincolato tutti i Paesi europei. Improvvisamente al posto del trattato di Versailles subentrò il nulla: da quel momento ogni governo si sentì legittimato a riarmarsi, a minacciare la guerra, a provocare i vicini, a coinvolgere nei suoi intrighi potenze terze. Tutto ciò rese impossibile la risoluzione pacifica delle controversie internazionali ed edificò anzi muri di odio a dividere i popoli. Il risultato di questa “lungimirante” politica si ebbe tra il 1938 e il 1939 quando una Germania armata fino ai denti pose fine all’indipendenza dell’Austria e della Cecoslovacchia senza che nessuno, in Europa, osasse fiatare. Il 31 marzo 1939 Chamberlain mutò l'indirizzo della politica inglese irrompendo nei negoziati polacco-tedeschi su Danzica garantendo l'integrità della Polonia. Ciò significava che l'Impero britannico avrebbe combattuto al fianco della Polonia se fosse scoppiata - non necessariamente per iniziativa tedesca - una guerra: questo fu il contenuto eversivo della garanzia data da Chamberlain, che trascinò pure il recalcitrante governo francese ad associarsi ad essa.  Fu la ripetizione - a parti invertite - dell'errore di Baldwin, ma questa volta le conseguenze furono ancora più catastrofiche. L'odio antitedesco, eccitato dalla propaganda del governo polacco, esplose in drammatici episodi di violenza nella Bassa Slesia, a Danzica e nella Prussia orientale. Un milione di rifugiati tedeschi fuggì dalla Polonia in Germania, mentre un altro milione e mezzo si trovava in pericolo di vita e chiedeva aiuto alle madrepatria. Con questi atti criminali il regime nazionalista polacco provocava deliberatamente Hitler: il suo obbiettivo era trascinare la Germania in guerra con la Francia e la Gran Bretagna, immaginando di trarre vantaggio da una rapida sconfitta della Germania e dal suo successivo smembramento. Questa fu la genesi della tragedia della Seconda guerra mondiale.

Ricordo ai lettori che l'Italia ha schierato un contingente di pace al confine tra Israele e Libano e un altro contingente in Afghanistan; e inoltre ha decine di basi aeree, navali, missilistiche e depositi di testate atomiche americane sul proprio suolo. In parole povere, se scoppia la guerra noi tutti siamo in prima in linea. C'è poco da stare allegri.

Enrico Montermini, 9.12.2017
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