LA STRATEGIA DI DOMINIO DELL’ÉLITE MONDIALE

di Enrico Montermini

 

Evidentemente non tutti gli italiani dormono i sonni beati dell’ignavo fanciullo. Al contrario, sempre più persone si stanno svegliando dall’inganno ipnotico con il quale l’élite globalista cerca di imprigionarci. Ho preso consapevolezza di ciò grazie ai tanti attestati di stima che ho ricevuto in merito al video “Modernità liquida” che ho pubblicato sul canale Youtube di Accademia della Libertà. Perciò, amici miei, ho buttato giù per voi qualche appunto per una discussione critica – molto critica! – del pensiero di Bauman.

Le categorie di tempo e spazio in Zygmunt Bauman

Per migliaia di anni le distanze si misurarono in ore o in giorni di cammino. Spazio e tempo, quindi, erano realtà strettamente collegate tra loro e l’uomo – attraverso la capacità dei suoi muscoli – rappresentava la congiunzione tra i due elementi della diade. Se lo spazio era una perciò realtà oggettiva e misurabile, il tempo rappresentava invece una quantità data, perché soggetta ai limiti delle possibilità umane. Lo spazio dominava quindi il tempo. Lo spazio dominava infine l’uomo. La potenza di uno Stato si misurava in termini di conquiste o di perdite territoriali. La ricchezza si misurava in termini di ettari di terreno coltivabile e numero di schiavi posseduti; poi, in tempi più recenti, nelle dimensioni degli impianti industriali e nella quantità di forza lavoro umana ad essi asservita. Era una logica che si esplicava in un “tanto più grande, tanto meglio”.

Ai nostri giorni se chiediamo quanto dista un certo luogo ci sentiremo rispondere: “a piedi o in auto?” Oppure che un tale luogo dista "x" ore di volo” Il tempo è oggi una realtà misurabile in modo oggettivo, mentre le barriere dello spazio sono state abbattute dal progresso tecnologico dei trasporti e delle comunicazioni. Oggi è il tempo a dominare lo spazio. Di conseguenza lo spazio ha perso di importanza. In un mondo in perenne movimento, ciò che conta è la velocità. Vediamo alcuni esempi.

Senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio di Manhattan il plutocrate trasferisce miliardi di dollari da un capo all’altro del mondo con un click sulla tastiera del computer. Dà ordini ai suoi manager con un telefono cellulare, mentre sorseggia cocktail a bordo di uno yacht ancorato a Montecarlo. Vola sul jet privato per incontrarsi alla City di Londra o a Tokio con altri plutocrati. Come si può vedere l’élite globale ha conquistato il dominio del tempo. La modalità con la quale esercita il suo potere si avvicina quanto più possibile all’istantaneità.

La strategia di dominio del tempo è liquida, è fluida, è dinamica e sfuggente. Se ciò che conta è muoversi sempre più rapidamente, tutto ciò che può rallentare il movimento deve essere implacabilmente rimosso dal progresso. Il turbocapitalismo infatti non ammette legami né con i territori né con i loro abitanti. Laddove incontrano degli ostacoli, i plutocrati li saltano a piè pari trasferendo i propri capitali.

La morte della politica?

Chi controlla lo spazio deve assumersi gli oneri che ciò comporta. Gli uomini comuni vogliono lavoro, salari dignitosi, il welfare e l’ordine pubblico: tutte cose che richiedono un diretto impegno dei governanti verso i governati e ingenti risorse finanziarie. Si capisce bene che il capitalismo globale è ben lieto di cedere agli stati tali ingombranti fardelli.

In cambio del suo sostegno ai governanti di turno, la plutocrazia pretende misure concrete che rendano il capitale ancora più libero di muoversi. Pertanto i governi fanno a gara tra loro nell’offrire sgravi fiscali alle grandi imprese e nel deregolamentare il mercato del lavoro. La disaffezione verso la politica nasce da questo tradimento, che i cittadini toccano con mano ogni giorno. Chi detta le regole del gioco sono i mercati, il cui giudizio nessun governo osa sfidare impunemente: non gli elettori.

Lo Stato è per Bauman il grande perdente della Storia, quel soggetto a cui il turbocapitalismo ha delegato il controllo dello spazio. Eppure questa tendenza è tutt’altro che univoca, come invece vorrebbe farci credere il nostro autore. La Russia e la Cina costituiscono infatti un blocco politico ed economico di primo piano, dotato di spazi, di materie prime e di mano d’opera virtualmente illimitati. Questo blocco dispone inoltre di una potenza militare di proporzioni colossali. Per queste ragioni Russia e Cina sono difficilmente manipolabili da parte del turbocapitalismo. Se la Germania riuscirà a stabilire una duratura cooperazione con la Russia, tutta l’Europa ne trarrà un grande vantaggio. A quel punto il futuro dell’Eurasia potrebbe prendere una direzione assai diversa da quella ipotizzata dall’élite globalista.

La modernità liquida e le colpe (ignorate) degli intellettuali

La debolezza degli Stati è la principale ragione dello strapotere dell’élite finanziaria. Di questo fenomeno Bauman offre una spiegazione antropologica.

La modernità – con la sua spinta ossessiva e compulsiva al cambiamento – ha disciolto tutte le strutture sociali: la Nazione, le classi sociali, la famiglia, le tradizioni, la religione. A causa dello scioglimento di questi “corpi solidi” gli esseri umani che vivono nei paesi progrediti godono di un livello di libertà che non era neppure immaginabile nei secoli scorsi. Tuttavia i vincoli che in passato limitavano l’azione degli individui, erano anche un’assicurazione concreta contro le incertezze della vita. L’insicurezza è l’altra faccia della libertà. L’uomo è diventato un individuo isolato e timoroso della propria sorte: un semplice consumatore alla perenne ricerca di nuovi modelli di vita da imitare, che promettono un’immediata quanto effimera gratificazione. Individui egoisticamente tesi all’affermazione di sé risultano incapaci di comunicare tra loro: la loro azione non si spinge oltre l’orizzonte della somma delle speranze e delle paure private di ciascuno, senza concretarsi in una proposta politica condivisa. Bauman considera tale fenomeno irreversibile: - ma è davvero così?

In Modernità liquida troviamo scritto che la fase attuale della modernità ha soffocato ogni progettualità futura: i sogni di una società migliore, più razionale, più giusta appartengono alle utopie del XIX secolo e alle ideologie del XX. In mancanza di una finalità comune, la modernità ha conservato in vita solo la spinta corrosiva alla dissoluzione delle forme solide della società. In tutto questo gli intellettuali hanno una qualche responsabilità? E i plutocrati che controllano la stampa, l'industria cinematografica e musicale sono i promotori o le vittime collaterali del processo di cambiamento in atto? Anche su queste domande Bauman tace.


Il pensiero unico si definisce tale perché non offre ai cittadini alcuna alternativa al sistema. Le voci di dissenso vengono infatti censurate o demonizzate, mentre i loro propugnatori vengono screditati attaccandoli sul piano personale. Gravissime sono le responsabilità del mainstream culturale, che, prono ai desideri del grande capitale, ha demolito gli assetti di una società, tutto sommato, prospera e libera. Lo ha fatto orchestrando una propaganda martellante che promuove acriticamente l’individualismo più sfrenato. Bauman fa parte di questa intellighenzia mercenaria e proprio per questo sorvola sulla questione, fondando piuttosto la sua teoria sociologica su un preteso e spontaneo cambiamento antropologico. L’errore di prospettiva compiuto - in buona fede? - pone in dubbio la correttezza di alcune sue analisi.

Pensiamo alla Rete, che si è sviluppata come un luogo di incontro e di discussione: l’equivalente moderno dell’agorà dell’antica Grecia. Se nel mainstream la comunicazione si muove dall’alto verso il basso, nella Rete questa è orizzontale. Su internet, infatti, l’opinione di un’autorità vale tanto quanto quella della casalinga in pensione. La dissoluzione dei “corpi solidi” della società moderna si è infine estesa anche al ruolo del giornalista come professionista dell’informazione e dispensatore di verità. Ciò significa che il capitalismo ha perso il monopolio dell’informazione. Perciò un numero crescente di cittadini diffidano delle verità cucinate dagli intellettuali mercenari. La gente si informa in modo indipendente e si confronta alla ricerca di risposte alternative a quelle del sistema. Internet è per l’élite come un mostro: è Frankenstein che ha preso vita e si è ribellato al suo creatore. Bauman, morto agli albori della rivoluzione digitale, ha sottovalutato il potenziale disgregante della Rete per le strategie di dominio del turbocapitalismo.

Quando il consumatore si accorge che il prodotto che ha acquistato non corrisponde alla promessa fatta dalla pubblicità, non crederà più a niente di ciò che gli proporrà la Marca. Tale problema, finora, è stato discusso solo da esperti di marketing e di comunicazione all'interno dell'orizzonte limitato del consumismo. Ma cosa succederà quando milioni di uomini dubiteranno del sistema stesso? Quale promessa il neo-liberismo potrà mai offrire in futuro a masse sempre più informate, disincantate e irrequiete? Potrà il turbocapitalismo fuggire in eterno alla resa dei conti con la Storia?

Dario III, re di Persia, dopo la battaglia di Isso fuggì all’avanzata di Alessandro il Macedone attraverso le immense distese dell’Asia che facevano parte del suo impero. Fino a quando fosse stato in vita, egli sarebbe stato adorato come un dio dai suoi sudditi: tanto sarebbe bastato per mantenere la corona sulla testa. Poi però qualcuno del suo seguito tradì e gli tagliò la testa. Assieme alla testa Dario III perse anche la corona e l’Impero persiano ebbe fine. La strategia della fuga può procrastinare la sconfitta, ma non è garanzia di vittoria.

Sull’Ebreo errante e altri nomadi

Bauman afferma che l’attuale stadio raggiunto dalla modernità – che definisce “liquido” – segna la rivincita dei popoli nomadi nell’eterna lotta contro i popoli sedentari. L’élite globalista è nomade per sua natura, in quanto rifugge con sdegno ogni legame con il territorio e i suoi abitanti.

Se questo è background culturale del plutocrate, da dove proviene? Bauman, intellettuale ebreo askhenazita, non lo dice. Lo farò io: l’Ebreo errante è il modello del capitalista moderno. “L’ebreo ha sempre la valigia pronta sotto il letto” recita un detto ebraico. Anche il plutocrate è sempre pronto a fuggire con i suoi capitali.
La mentalità ebraica si è forgiata nel corso di una storia plurimillenaria fatta di esili e peregrinazioni. L’odio contro i gentili che trasuda dalle pagine del Talmud è l’emblema della psicologia del nomade, che sogna di soggiogare i popoli sedentari: non per dominare lo spazio, non per imporre un nuovo ordine sociale, ma per sete di potere e di vendetta oltre che per garantire a sé stesso le risorse necessarie a perpetuare in eterno il suo stile di vita. Quando il Messia verrà, tutte le Nazioni si piegheranno di fronte a Israele e tutte le ricchezze apparterranno a Israele: così insegna la letteratura rabbinica.

L’obbiettivo ebraico è stato perseguito con successo, nel corso della storia, da altri popoli nomadi – gli Unni, i Kazhari (antenati degli Ebrei Askhenaziti), i Mongoli, i Tartari – ma mai prima d’ora su una scala così vasta. Queste genti vivevano a cavallo, nel vero senso della parola. A cavallo si spostavano, cacciavano, combattevano e mangiavano. Le orde dei guerrieri nomadi dominavano il tempo attraverso la prodigiosa velocità di marcia dei cavalli. Ossia attraverso il perpetuo movimento. Tendenzialmente i nomadi cercavano di non occupare lo spazio, perché estorcere tributi era più consono alla loro natura che governare i popoli e i territori. Quando il nomade scendeva da cavallo per occupare lo spazio, veniva invariabilmente fagocitato dalla cultura dei popoli sedentari con i quali era costretto a coabitare. Questa descrizione calza a pennello per la plutocrazia contemporanea.

In combattimento i nomadi della steppa usarono per migliaia d’anni la letale combinazione di arco e cavallo per colpire a distanza i loro nemici senza lasciarsi coinvolgere in combattimenti corpo a corpo. Il loro stile di guerra era tipicamente elusivo. Le loro azioni predilette erano il raid, rapido e improvviso, la finta ritirata e l’imboscata. Fra Giovanni da Pian del Carpine indicava nell’inganno il segreto dell’arte della guerra dei Mongoli di Gengis Khan.

Nell’era della modernità liquida anche la guerra si è fatta liquida, adottando l’idea del combattimento a distanza e rifuggendo alla tentazione del contatto diretto col nemico sul campo di battaglia. Vediamo due esempi. L’intervento della Nato contro la ex-Jugoslavia si è concretizzato in un attacco aereo mirato e devastante contro le forze armate e l’economia del nemico. Allo stesso modo in Siria i russi sono intervenuti con le loro forze aeree, lasciando alle forze di terra di Assad il compito di combattere i terroristi sul campo. La rapidità nel condurre attacchi mordi e fuggi è l’elemento decisivo. Ancora una volta il tempo è il fattore chiave: lo spazio non ha più importanza. Le grandi potenze infatti rifuggono quanto più possibile gli oneri e i rischi di controllare direttamente il territorio. La tattica operativa della guerra moderna si basa quindi sugli stessi principi adottati dai nomadi della steppa accoppiati alla tecnologia (altrimenti la guerra non sarebbe “moderna”). Se per Von Clausewitz la guerra era la prosecuzione della politica su nuove basi, nell’era della modernità liquida essa è diventata la prosecuzione del capitalismo su nuove basi. Si ricorre alla guerra solo contro quei soggetti politici – entità statali o non statali – che impediscono il libero fluire dei capitali. Si tratta insomma di un'eccezione. Laddove invece si gioca secondo le regole del gioco del capitalismo liquido, bastano i mercati a premiare gli Stati condiscendenti e a punire quelli recalcitranti. La guerra alla maniera dei nomadi è quindi l’ultima risorsa: normalmente la partita si gioca con altre armi e altri strumenti. Le armi della finanza sono infatti ancora più elusive.

Le armi con le quali l’élite nomade oggi domina il mondo furono forgiate dalla famiglia ebraica dei Rothschild alla fine del XVIII secolo. Questi banchieri askhenaziti – discendenti dei nomadi Cazari - avevano compreso che le terre, i castelli e l’oro potevano essere sequestrati in qualsiasi momento dai reggitori dello Stato: occorreva dunque creare un modello di accumulo della ricchezza che fosse così “liquido” da risultare inafferrabile, come lo erano i guerrieri nomadi della steppa. L’arma ideata dai Rothschild era la lettera di credito. Con questo mezzo il denaro poteva viaggiare in modo virtuale e moltiplicarsi magicamente, perché nessuno poteva sapere con certezza se i prestatori di denaro possedevano realmente tanto oro quanto sarebbe stato necessario per garantire i prestiti elargiti. Dalla lettera di credito si sono evoluti tutti gli strumenti finanziari oggi ben noti anche al grande pubblico. I clienti principali dei Rothschild erano le case regnanti europee. Il pegno che essi chiedevano a garanzia di questi prestiti era il controllo dell’emissione dei titoli di stato: “datemi la possibilità di controllare la moneta e non mi interessa chi governerà” era il motto di famiglia.

Il sistema rothschildiano

Il tipo di capitalismo che oggi domina il mondo altro non è se non il prodotto del sistema rothschildiano. Per rendersene conto basta leggere cosa scrive Bauman a proposito di capitalismo “solido” e capitalismo “liquido”. Nella sua fase iniziale – “solida” – il capitalismo era legato alla produzione e teneva incatenati alla stessa catena i produttori e gli operai, perché i primi avevano bisogno dei secondi per far funzionare i macchinari dell’industria, mentre gli operai dovevano mettere in vendita il proprio lavoro per sopravvivere. Nella sua fase liquida il capitalismo ha sciolto questo legame forzato. Il turbocapitalismo o capitalismo liquido premia infatti quei capitalisti che riescono a muoversi più rapidamente delocalizzando le produzioni dove è più conveniente, ristrutturando le aziende con massicci licenziamenti, riducendo le pretese salariali dei lavoratori.

Bauman non si spinge oltre nella sua analisi, ma Edward Luttwack sì: quest’ultimo pone l’accento sullo spostamento dell’interesse dalla produzione alla rendita finanziaria, identificando in ciò il tratto distintivo del turbocapitalismo. Il valore di una multinazionale è maggiore o minore in proporzione alla quantità di denaro che riesce a racimolare dalla Borsa. Ne consegue che i mercati premiano quei capitalisti che promettono utili a breve termine e rifuggano dagli oneri di investimenti a lungo termine. La speculazione borsistica ha sostituito la programmazione industriale. A giudizio di Luttwack esistono dunque ragioni pragmatiche dietro i comportamenti dei grandi capitalisti che delocalizzano, ristrutturano, spacchettano le loro aziende. Tale spiegazione mi sembra molto più onesta di quella di Bauman, che postula come causa prima e indimostrabile un mutamento antropologico  spontaneo che coinvolgerebbe la società moderna a tutti i livelli. Bauman, dunque, confonde la causa con l’effetto e, così facendo, fonda una nuova metafisica della diseguaglianza sociale ad uso e consumo delle classi agiate.

Il turbocapitalismo si basa sui meccanismi che i Rothschild hanno imposto all’economia: metodi elusivi di accumulazione del capitale, che sfuggono a ogni controllo e si moltiplicano da sé. Si moltiplicano esclusivamente in funzione della velocità di spostamento degli stessi, non avendo alcuna corrispondenza con la produzione di beni reali.

La ricchezza virtuale della finanza, a differenza di quella reale basata sulla produzione, non può essere distribuita tra tutti i membri della società come accadeva in passato. Questa ricchezza, infatti, non è vero benessere: è semplicemente un attributo del potere. Ciò spiega l’aumento delle diseguaglianze sociali, che in un mondo dominato dalla tirannia della libertà produce due categorie antropologiche: gli individui de facto, che hanno i mezzi per vivere come più gli aggrada, e gli individui de iure, che hanno solo la mera potenzialità di essere ciò vogliono, ma non dispongono dei mezzi necessari per auto-realizzarsi. Il turbocapitalismo - a mio avviso - non può ammettere una più equa distribuzione della ricchezza senza scoprire le carte del suo bluff. Luttwack cita il mirabile esempio di una società quotata in Borsa a Wall Street che dichiarava di non produrre alcun prodotto e di non avere intenzione di farlo nemmeno nel futuro: fino a quando è durato il boom della new economy i fondatori si sono arricchiti per il solo fatto di aver quotato la loro società nel segmento dei titoli tecnologici. Come può una ricchezza siffatta essere distribuita tra gli uomini? Questa non è vera ricchezza: è potere. Soltanto potere. Leggete qui cosa dichiarò il leader trozkista Rackovskji ai funzionari del KGB che lo avevano tratto in arresto su ordine di Stalin:


<< Il Denaro è Stato. Il Denaro è il centro di gravitazione universale... Sapere come la finanza internazionale giunse ad essere padrona del denaro, questo magico talismano che ha sostituito ciò che Dio e Nazione rappresentavano, per i popoli, è qualcosa che su pera l'interesse scientifico, la stessa arte della strategia rivoluzionaria, poiché è arte e rivoluzione assieme. Velati gli occhi dello storico e della massa col clamore e il trionfo della Rivoluzione Francese, ubriacato il popolo con l'aver ottenuto l'abbattimento del re, del privilegio, di ogni potere, non si avvertì che un pugno di uomini occulti e cauti si erano impadroniti dell'autentico potere della regalità, un potere magico, quasi divino, che la regalità, senza saperlo, possedeva. Le masse non si resero conto che gli altri avevano preso per sé questo potere che le avrebbe ridotte a una schiavitù più pesante di quella dello stesso re, poiché lui, coi suoi pregiudizi religiosi e morali e con la sua stupidità, fu incapace di usare un simile potere. Fu così che si impadronirono di un potere maggiore del re uomini la cui qualità morale e intellettuale e il cui carattere cosmopolita permetteva loro di esercitarlo. Naturalmente non erano cristiani di nascita, ma cosmopoliti… >>.

I plutocrati, sosteneva Rackovskji, si arricchiscono nella maniera più semplice possibile: fabbricando denaro. E già negli anni Trenta, prima che fosse conosciuto il fenomeno del signoraggio bancario, egli poteva citare la compravendita di azioni e di titoli di stato, la speculazione valutaria e altri espedienti per generare ricchezza fittizia a beneficio di pochi. Persino le masse rivoluzionarie si arrestano di fronte alle banche, sosteneva Rackovskji, come se fossero colpite da un sacro timore: "la banca è il tempio. Il banchiere è il suo sacerdote" e tutto, alla fin fine, si riduce alla fede religiosa degli uomini che il sistema capitalista possa durare in eterno. La ricchezza fittizia è l’inganno con il quale i plutocrati cosmopoliti e nomadi hanno sottomesso le masse legate al territorio; e la finzione si rivela tanto più geniale in quanto le sbarre della prigione, ammantate dalla retorica libertaria, appaiono oggi invisibili. Invisibili come la freccia con la quale l’Unno e il Mongolo colpivano da distanza siderale il nemico appiedato che lo fronteggiava per poi dileguarsi al galoppo.

Migranti e comunità

La Nazione, per Bauman, sarebbe la squallida utopia di una comunità su base etnica. Il patriottismo sarebbe solo una maschera retorica del nazionalismo. Il nazionalismo avrebbe nel proprio DNA un carattere addirittura fratricida. Il comunitarismo si fonderebbe su una divisione artificiosa tra un "noi" e un "loro" che presto o tardi condurrebbe a fenomeni di pulizia etnica come quelli avvenuti nella ex-Jugoslavia. Questo è, in sintesi, il pensiero di Bauman su nazionalismo e populismo. Se davvero le cose stanno così, quale sarebbe il modello più giusto o più efficiente di comunità?


Bauman parla di nomadi sradicati, che bussano alle porte della nostra società ricca e prospera spinti dalle forze invisibili della modernità. Vittime di questo processo, i migranti suscitano paure irrazionali: essi sarebbero l'immagine vivente della disgrazia che potrebbe colpire all'improvviso ciascuno di noi. Estendere ai nuovi arrivati il contratto sociale che lega i cittadini è la soluzione proposta da Bauman. Riconosciuti eguali diritti a tutti, la diversità  dei migranti si scioglierebbe nella liquidità di una società che si basa unicamente sulla libertà individuale. Tale analisi mi sembra che pecchi di superficialità. Occorre guardare più da vicino le cause dei flussi migratori per capire il problema. Credo che non si possa negare il fatto che le grandi banche e le multinazionali stanno predando le risorse dell’Africa, dell’Asia e dell'America latina a un ritmo tale da distruggere le comunità locali e spingere milioni di giovani a emigrare. In mancanza di una critica radicale dei rapporti tra capitale e lavoro, che Bauman considera il residuo di un passato ormai morto, la fuga diviene l’unica opzione possibile per i popoli del terzo e quarto mondo. Che ciò sia pianificato e voluto dalla finanza internazionale lo testimonia il banchiere israelita George Soros, che attraverso i finanziamenti alle ONG è assurto al ruolo di principale coordinatore dei flussi migratori dall’Africa all’Europa.
Il fenomeno descritto assume un andamento circolare allorché i migranti giunti in Europa accettano lavori sottopagati e privi di tutele giuridiche: quelli che i nostri lavoratori non accettano. Così il nomadismo, promosso dall'élite cosmopolita, irrompe prepotentemente nella nostra vita quotidiana. Esso porta con sé la distruzione delle identità nazionali, il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, la paura dei cittadini per la propria incolumità. Il sistema ci vuole tutti più mobili e flessibili, soggetti isolati e spaventati. L’accoglienza indiscriminata dei profughi agisce nel lungo periodo come un acceleratore del processo di dissoluzione delle società europee. Che tale dissoluzione non avvenga spontaneamente, come pretende Bauman, ma sia pianificato dall'alto lo afferma senza remore Barbara Lerner Spectre, fondatrice di Paideia, l'organizzazione che seleziona e forma la classe politica ebraica dell'Europa del domani: << Penso che ci sia una rinascita dell'antisemitismo perché in questo momento l'Europa non ha ancora imparato a essere multiculturale. E penso che saremo parte degli spasimi di quella trasformazione, che deve avvenire. L'Europa non sarà le società monolitiche che erano un tempo nell'ultimo secolo. Gli ebrei saranno al centro di tutto ciò. È un'enorme trasformazione per l'Europa. Ora stanno entrando in uno stato d’animo multiculturale e gli ebrei saranno offesi a causa del nostro ruolo di guida. Ma senza questo ruolo guida e senza quella trasformazione, l'Europa non sopravvivrà >>. Si può argomentare alla luce di tutto ciò che anche i popoli europei devono diventare nomadi e cosmopoliti per compiacere gli interessi del grande capitale. Perciò le migrazioni sono il grimaldello per scardinare ciò che ancora resta di solido nella nostra società e renderci tutti più... "liquidi"!

A questo punto, cari lettori, qualcuno tra voi starà già pensando al conte Kalergi. Il personaggio è talmente conosciuto da meritare solo un breve epitaffio. Kalergi era mezzo tedesco e mezzo giapponese. Sposò una donna ebrea. Suo padre fu uno dei più stretti collaboratori di Herzel (il padre del Sionismo) e i Rothschild furono tra i maggiori finanziatori del suo programma politico. Padre putativo dell'Unione Europea, Kalergi era nomade di nascita e per vocazione. La sua società ideale era divisa in caste su base etnica: al vertice della piramide i grandi capitalisti, di cui gli ebrei avrebbero costituito il nocciolo duro; e alla base una massa informe di individui senza radici e senza identità, frutto di incroci razziali tra europei e africani, dediti alla ricerca dell'edonismo più sfrenato. Kalergi, al pari di Bauman, non era che un mercenario al servizio dell'élite nomade e cosmopolita.




I maestri sconosciuti del pensiero di Bauman

Parliamo ora dei modelli culturali di Bauman. L’autore si pone in linea di apparente continuità con il pensiero giudaico cristiano. Facendo sfoggio di invidiabile erudizione egli disquisisce con eleganza di Platone, Kant, Hegel e Heiddeger. Eppure la mia impressione è che Bauman getti fumo negli occhi ai suoi lettori. Io credo invece che i suoi modelli culturali siano esclusivamente ebraici: Kafka nella letteratura, Freud nella psicologia, Einstein nella scienza, Marx nella politica e i Rothschild (che non cita mai) nell’economia.

Poiché la descrizione fornita da Bauman della società contemporanea è, in molti punti, di una lucidità sconvolgente, non resta che prendere atto che tutti noi viviamo in un mondo pensato da menti ebraiche. Ciò dovrebbe farci riflettere. Poiché il mondo dell’informazione e della cultura è controllato in larga parte dagli israeliti, il cerchio si chiude: “allora tutti i popoli si inchineranno a Israele e loderanno l’Altissimo” insegna la letteratura rabbinica. Ciò non vuol dire che il popolo ebraico domini il mondo, ma che le categorie del pensiero proprie di questa genia sono state sposate dall'élite e da questa imposte all'intera società occidentale..
Ah, quante cose questo sociologo israelita avrebbe potuto raccontarci a proposito della vittoria finale del nomade sui popoli sedentari, se solo avesse voluto!

Consigli per gli acquisti:

  • Su Bauman: Bauman, Modernità liquida
  • Sul turbocapitalismo: Luttwack, La dittatura del capitalismo
  • Sui Rothschild: Ratto, I Rothschild e gli altri.
  • Su Kalergi: Simonetti, La prossima scomparsa dei popoli europei.
  • Su Rackovskji: Landovskji, Sinfonia in Rosso Maggiore.
  • Sulla psicologia dell’imperialismo ebraico: Mattogno, L’imperialismo ebraico nelle fonti della letteratura rabbinica.
#Bauman #ModernitàLiquida #Luttwack #Kalergi #turbocapitalismo #plutocrazia #società #trozkismo

Commenti

  1. Montermini possible che con tutte le personalita che ci sono in giro e che dicono cose sensate mi tira fuori bauman NATO Levi e luttwak NATO Salomone Elkann 2 ebrei ,tanto vale fare come I'll rabbino mio vicino di posto inaereo che mi ha srotolato una pergamena in faccia , non credevo ai miei occhi

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