L’EMERGENZA DEMOCRATICA di Enrico Montermini

Il corretto funzionamento del sistema giudiziario è vitale per la vita democratica di un Paese sotto un triplice profilo. Innanzitutto esso garantisce – o dovrebbe garantire – l’efficienza delle sue istituzioni, sanzionando i comportamenti illeciti e tutelando i diritti dei cittadini, specie quelli più deboli. Riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’economia di un Paese, se assicura un sistema di regole uguali per tutti a tutela dei consumatori e della libera concorrenza tra le aziende. Questa libera concorrenza, ove ci sia, promuove le aziende virtuose, quelle capaci di offrire prodotti e servizi migliori e a prezzi più accessibili, crea posti di lavoro e produce ricchezza diffusa. Per le stesse ragioni la libera concorrenza colpisce le aziende mal gestite, quelle nelle quali la selezione del personale premia i mediocri e i corrotti e penalizza il talento e lo spirito di iniziativa. Il livello di efficienza del sistema giudiziario ha quindi un impatto notevole sull’economia di un Paese. Per quanto attiene ai rapporti tra i cittadini, la Giustizia è lo strumento che consente di gestire in modo pacifico le tensioni originate dai cambiamenti sociali: di gestire il nuovo che avanza, insomma, piuttosto che reprimerlo. Credo che sia importante riflettere preliminarmente su questi elementi per avere una chiara cognizione dell’importanza dell’argomento: è per questo, non per spirito di rivincita, che intendo additare, tra i tanti problemi italiani, la malagiustizia come un’autentica emergenza democratica.

Che la Giustizia non funzioni è evidente: c'è chi è tenuto al rispetto delle leggi e chi è al di sopra. Uomini politici, grandi industriali, banchieri e alti prelati sono altrettante categorie di intoccabili. Nelle ultime settimane, ad esempio, i protagonisti degli scandali di mazzette degli anni Novanta e Duemila sono stati tutti riabilitati: come Del Turco, Penati e Bisignani. Lo stesso dicasi per le inchieste degli ultimi vent'anni sulle spese pazze delle Regioni: tutti assolti perché non sapevano di delinquere. La corruzione della politica, che c'è ed è sotto gli occhi di tutti, è stata cancellata con un tratto di penna dalle sentenze dei giudici, come se non esistesse. Non parliamo poi degli scandali bancari: Unipol, Monte dei Paschi di Siena, le banche venete e così via. In tutti questi casi banchieri compiacenti hanno dilapidato i risparmi dei correntisti finanziando – senza chiedere alcuna garanzia – le aziende decotte degli amici dei politici, che hanno poi fatto sparire quei capitali nei paradisi fiscali. Nessun banchiere è stato chiamato a rispondere delle sue azioni, né in sede penale né in sede civile. Proprio ieri la corte di Cassazione dopo 17 anni di processi ha annullato la condanna a Cragnotti per il crack Cirio. Al banchiere Cesare Geronzi ha inflitto la condanna a 4 anni di reclusione, di cui 3 sospesi dalla condizionale e 1 coperto dall'indulto: ciò significa che non farà neppure un giorno di prigione. Per i 30.000 risparmiatori che furono truffati dei loro risparmi per oltre 1,2 miliardi di euro si prevede un rimborso immediatamente esecutivo pari al 5% della somma. E il resto? Lo stabilirà un processo civile, la cui data d'inizio non è stata ancora fissata: una farsa senza fine!
Un altro vulnus alla democrazia consiste nell’uso disinvolto della Giustizia come strumento di lotta politica. Qualcuno – i Servizi segreti? – copre le malefatte dei nostri politici e contemporaneamente prepara dossier su di loro, che a tempo debito finiscono sulla scrivania di uno zelante pubblico ministero. Così nacque l'inchiesta di Mani pulite, che fece assai più che colpire i comportamenti illeciti di alcuni politici e imprenditori: spazzò via l'intera classe politica della Prima repubblica, attribuendo all'avidità dei suoi membri la causa del debito pubblico italiano, che era fuori controllo. Di ciò era in realtà responsabile la decisione di separare il Tesoro dalla Banca d'Italia e di privatizzare quest'ultima: il popolo italiano perse così la proprietà della sua moneta e iniziò a prenderlo in prestito dai mercati internazionali.  Per sanare in piccola parte il debito pubblico, che in breve tempo di trasformò in una voragine, fu necessario smantellare l'industria di Stato, svendendo a faccendieri senza scrupoli i gioielli dell'IRI. Tutto ciò era stato deciso molto tempo prima durante un incontro segreto sul Britannia, il panfilo della regina d'Inghilterra. Tuttavia queste verità furono occultate all'opinione pubblica, perché i politici che avrebbero potuto e dovuto denunciarle venivano intimiditi con la minaccia delle manette. Quando alla fine furono accertate le responsabilità penali individuali, chi, tra i politici e i loro finanziatori, pagò in base alle norme previste dalla legge? Nessuno. Ricordo ancora la foto di un ex ministro che, essendo stato scarcerato perché le sue condizioni di salute "non erano compatibili col regime carcerario," si faceva assegnare gli arresti domiciliari nella sua villa di Capri: qui veniva paparazzato mentre sfrecciava col suo yacht comprato con i soldi delle mazzette delle multinazionali farmaceutiche... Finì per pagare per tutti il solo Craxi, che, indomabile, si ostinava a gridare al complotto politico e che per questo morì in esilio. Come si vede Mani pulite fu una vicenda politica, dall'inizio alla fine, mentre dal punto di vista penale i responsabili non pagarono per i loro crimini o lo fecero solo in minima parte.
Per quanto riguarda i comuni cittadini, esistono casi di malagiustizia addirittura kafkiani, come quello di Tortora, che fece scalpore solo perché riguardò un personaggio famoso. Ma quanti sono gli innocenti, di cui non si sa nulla, che marciscono in carcere? D’accordo che solo la Giustizia divina è infallibile, mentre quella umana deve convivere con l’ipotesi dell’errore giudiziario, ma non è di questo che stiamo parlando: stiamo parlando di casi montatati ad arte, di mala fede, di poveracci incastrati. Facciamo un passo oltre e spendiamo una parola per i cittadini reclusi in attesa di processo, che rappresentano una frazione notevole della popolazione carceraria. La carcerazione preventiva dovrebbe rappresentare un’eccezione allo stato di diritto, non la norma. Solo nella Francia del Terrore giacobino e in Unione Sovietica ai tempi di Lenin e Stalin bastava il mero sospetto per privare un cittadino della libertà. Così si tocca con mano il paradosso di un sistema giudiziario che coscientemente persegue gli innocenti e libera i criminali. Ciò è ancora più intollerabile per coloro che sono vittime di crimini odiosi e che vedono i loro aguzzini messi in libertà attraverso sconti di pena o misure alternative al carcere. Questa è l’iperbole della malagiustizia, che ancora una volta dimostra come esistano cittadini di serie A e di serie B.

Il concetto dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge, che è un cardine della democrazia, è stato manomesso. Come è stato possibile arrivare a questo punto è difficile a dirsi, perché le cause sono molteplici. Direi che ci sono due ordini di fattori che si incrociano. Il primo è dovuto alla volontà politica di rendere impraticabile il ricorso alla Giustizia. In Italia si è affermata infatti una oligarchia potentissima che prospera attraverso la sistematica violazione delle leggi alle quali il resto della popolazione è chiamata a rispondere. Parlo del politico che riceve mazzette, dell’imprenditore che glie le paga per vincere un appalto, dell’industriale che elude il fisco per miliardi, del finanziere bancarottiere, del banchiere che truffa i correntisti. La classe politica, che di questa oligarchia fa parte, nell’arco di due generazioni ha coscientemente sabotato il funzionamento del sistema giudiziario garantendosi l’impunità per le proprie azioni. Lo ha fatto estinguendo i reati attraverso la prescrizione, accorciando le pene – di un terzo! – per mezzo del rito abbreviato, vanificando le condanne attraverso misure alternative al carcere (arresti domiciliari, servizi sociali, permessi premio), procrastinando sine die le sentenze con una serie infinita di cavilli introdotti al Codice di Procedura Penale. La somma di questi artifici dimostra l’esistenza di un piano ben preciso attuato dagli uomini politici e al quale anche i magistrati contribuiscono. Infatti le leggi, in questo Paese, vengono formulate in modo tale da poter essere evase. Di fatto ogni articolo del diritto civile o del diritto penale ha un qualche codicillo al suo interno, un avverbio o un aggettivo, che introducono un elemento di incertezza nell’interpretazione della legge. Questo accresce enormemente la discrezionalità del magistrato, che non può applicare le leggi, dal momento che il loro significato è volutamente contradditorio: egli deve invece interpretarle e ciò ha conseguenze catastrofiche sulla certezza del diritto.

La magistratura in Italia è una casta con un proprio organo di autogoverno, che amministra la giustizia tra i suoi membri. Già questa è una anomalia in un sistema democratico, perché nessun magistrato risponde mai del proprio operato: né per negligenze, né per omissioni, né per falso. Di fatto il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla Legge trova qui una clamorosa negazione. Inoltre l’accesso e la carriera in magistratura funzionano per concorso e non in modo elettivo: questa è un’altra anomalia, che contribuisce a far sì che la magistratura non risponda del proprio operato di fronte al popolo sovrano. Questi due aspetti fanno dei magistrati una casta intoccabile, oltre che ben retribuita. Si tratta di un veleno illiberale inoculato nel tessuto del sistema democratico. In pratica i magistrati godono degli stessi privilegi di politici, faccendieri e banchieri: sono parte dell’oligarchia che prospera nell’illegalità, conscia della propria impunità. Dopo un periodo di frizione durato un ventennio la magistratura negli ultimi anni dato un colpo di spugna ai processi contro la corruzione politica: la classe politica da parte sua ha accantonato ogni proposito di riformare il sistema giudiziario. Così Ponzio Pilato con la mano destra si lavò la sinistra!

A questo punto è lecito domandarsi quali siano le radici che tengono uniti i diversi elementi della classe dirigente italiana. Lo possiamo facilmente intuire attraverso i principi elitari che essi condividono. Gli oligarchi formano un’associazione che agisce secondo regole diverse da quelle dei comuni cittadini: regole segrete. L’esistenza di questo sistema normativo come collante dell’oligarchia certifica l’esistenza di una associazione occulta, in quanto viene nascosta all'opinione pubblica. Questa associazione occulta che vive nel segreto è la massoneria.  Essa promuove una società aristocratica, divisa tra iniziati e profani: i cittadini di serie A e di serie B di cui parlavamo poc’anzi. L’élite degli iniziati è rigidamente organizzata attraverso un sistema gerarchico piramidale. Le regole che la massoneria si è data non sono le leggi della Repubblica Italiana, ma l’insieme dei principi della Tradizione. Con questo termine si intende il patrimonio sapienziale di natura esoterica che sarebbe stato tramandato dalla notte dei tempi all’interno di un gruppo chiuso di iniziati legati tra loro dal giuramento del segreto. Si tratta dunque di un potere non democratico. Ciò che abbiamo definito nei termini di un sistema criminale dominato dall’impunità della classe dirigente, può altrettanto correttamente definirsi come un sistema parallelo, che risponde a principi etici diversi e opposti da quelli della Costituzione e a un codice di condotta proprio, che non ha attinenza col nostro ordinamento giuridico.
Gli scopi della massoneria sono due: promuovere la volontà di potenza di sé stessa, in quanto istituzione, e dei suoi singoli membri; e inoltre portare avanti un processo di palingenesi dell’intera società ispirato dai principi della Tradizione. Si comprende ora perché il magistrato corrotto, il politico corrotto e il plutocrate corruttore vivano e prosperino l’uno accanto all’altro e cooperino tra loro. Negli elenchi della Loggia massonica P2 di Licio Gelli comparivano l’uno accanto all’altro politici, generali, magistrati, banchieri, industriali, proprietari di giornali e giornalisti, dirigenti ministeriali. La massoneria, insomma, aveva infiltrato in modo capillare di tutti i gangli vitali delle istituzioni e della società civile così da conseguire determinati obbiettivi. La giornalista Stefania Limiti a questo riguardo parla di un “doppio livello” della realtà: l'uno visibile, l’altro occulto.

La zona d’ombra nella quale quale le istituzioni o suoi spezzoni deviati operano contro la legge, all’insaputa dei cittadini e sulla base di input esterni, si chiama “deep state” ovvero “Stato profondo”. Il pentito Calcara, che collaborò col giudice Borsellino poco prima della sua uccisione, parlò di una commissione informale, segretissima, composta dai vertici di Cosa Nostra e della Massoneria, rappresentanti del Vaticano deviato, dei Servizi segreti deviati e dai capi della ‘Ndrangheta: eccolo qui il “deep state”. Un riscontro alle dichiarazioni di Calcara si trova proprio nella lista dei membri della P2 e nulla autorizza a pensare che, da allora, la situazione si sia modificata. Un altro riscontro si trova nelle carte del caso Genchi, il perito che nel corso di un’indagine di polizia giudiziaria scoprì, dai tabulati telefonici, una rete di contatti tra politici, imprenditori, mafiosi, avvocati e magistrati. Ecco di nuovo il "deep state" materializzarsi in fatti concreti e documentabili. Tutti gli attori della vicenda erano legati tra loro dal vincolo dell’affiliazione massonica. Un aspetto sconcertante del caso Genchi fu l'imprevedibile intervento del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha fermato l'indagine in corso e ha provveduto a distruggere le prove raccolte.

L’argomento è talmente vasto da trascendere di gran lunga i limiti del presente saggio. Se tra tutti gli attori in gioco ho limitato la mia analisi al sistema giudiziario è a causa dell’enorme impatto che la sua manomissione produce sulla vita quotidiana di tutti i cittadini, fino a stravolgere lo stesso ordinamento democratico. Ciò rappresenta un autentico colpo di stato, anche se non viene condotto con carri armati e soldati. Scrivo queste parole non con acrimonia nei confronti della magistratura, ma per rispetto verso quei magistrati che hanno pagato un prezzo altissimo per le proprie convinzioni legalitarie e democratiche, come Falcone e Borsellino. Uomini con la “U” maiuscola. Uomini che però, all'interno della magistratura, hanno fatto parte di "un'altra squadra e per di più mal vista," come ebbe a ricordare un magistrato scomodo durante gli anni di piombo.

Enrico Montermini, 7.10.2018

 

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